Chiesa di Santa Maria delle Grazie e Cenacolo Vinciano - Milano
Un luogo che non si
dimentica !
Come non visitare e spendere due parole su Santa Maria delle
Grazie e l’attiguo Cenacolo Vinciano: è una di quelle visite imperdibili a
Milano, visitato ogni giorno da migliaia di turisti da tutto il mondo.
Per il Cenacolo è obbligatoria la prenotazione telefonica o
via web dove si fissano data e orario della visita.
Santa Maria delle Grazie è una tra le più belle chiese
d'Italia e punto di riferimento obbligatorio dell'architettura milanese, legata
al nome di Leonardo da Vinci e a Donato Bramante.
Nel refettorio dell'antico convento domenicano è possibile
ammirare la celebre “L’Ultima Cena” conosciuta anche come “Il Cenacolo” del
Leonardo, iniziata nel 1495 e terminata nel 1498.
Il restauro del 1999 ha ribadito tutta la drammatica forza
espressiva di questo straordinario capolavoro dell'arte cristiana.
A Donato Bramante si deve l'aggiunta della parte absidale o
tribuna con la ricca ed elegante decorazione in marmo e in cotto.
Molto belli sono i banchi del '500, con intarsi e tasselli
di vari tipi di legno.
Da vedere la tribuna bramantesca: l'estrema grazia del
presbiterio con la sua volta. Qui si ammira uno dei più bei cori lignei a
intarsio del rinascimento.
Nel bellissimo chiostrino adiacente alla tribuna, sulla
porta che conduce alla sacrestia, si può ammirare un affresco realizzato da
Bramantino.
Vi consiglio di entrare da via Caradosso, sarete
piacevolmente sorpresi dal trovarvi in un magnifico chiostro. Al centro
gorgheggia una deliziosa fontana con delle simpatiche rane. Se alzate lo
sguardo la tribuna del Bramante che si staglia nel cielo vi allieterà la vista.
In alcune giornate se avete la fortuna di capitare in un momento tranquillo
quando il chiostro è senza troppi visitatori e socchiudete gli occhi vi
sembrerà di tornare indietro al tempo di
Leonardo…
Visita imperdibile !!!!!!
Come ogni visita è sempre meglio prima documentarsi: per questo, sperando di fare cosa gradita, di seguito riporto storia e notizie utili prelevate dal web:
"
La chiesa di Santa Maria delle Grazie è una basilica e
santuario situata a Milano, appartenente all'Ordine Domenicano e facente capo
alla parrocchia di San Vittore al Corpo. L'architettura della tribuna,
edificata fra il 1492 e il 1493 per volere del Duca di Milano Ludovico il Moro
come mausoleo per la propria famiglia, costituisce una delle più alte
realizzazioni del Rinascimento nell'Italia settentrionale.
Fu il secondo sito italiano dopo le incisioni rupestri in
Valcamonica ad essere classificato come patrimonio dell'umanità dall'Unesco,
insieme con l'affresco del Cenacolo di Leonardo da Vinci che si trova nel
refettorio del convento (di proprietà del Comune di Milano).
Storia
Risale al 1459 la fondazione di un secondo nucleo di frati
domenicani a Milano, in aggiunta al primo, antico insediamento di
Sant’Eustorgio risalente al 1227, di soli undici anni successivo alla
fondazione dell’ordine.
La congregazione di Domenicani, stabilitisi presso l'odierna
San Vittore al Corpo, ricevette in dono nel 1460 un appezzamento di terreno dal
conte Gaspare Vimercati, condottiero al servizio degli Sforza. Su questo
terreno si trovavano una piccola cappella dedicata a Santa Maria delle Grazie,
e un edificio a corte ad uso delle truppe del Vimercati. Il 10 settembre 1463
viene posata la prima pietra del complesso conventuale. La costruzione prese
avvio da quello che è oggi il Chiostro dei Morti, adiacente alla primitiva
cappella della Vergine delle Grazie, che oggi corrisponde all’ultima cappella
della navata sinistra della chiesa. A dirigere i lavori fu chiamato Guiniforte
Solari, architetto egemone in quegli anni a Milano, già ingegnere capo della
fabbrica del Duomo, dell’Ospedale maggiore e della Certosa di Pavia. Grazie al
mecenatismo del Vimercati, il convento fu completato nel 1469, come racconta il
domenicano Padre Gattico, il cui racconto è prezioso per ricostruire le fasi
edificatorie del complesso.
Il convento
Il convento solariano si articolava attorno a tre chiostri.
Il Chiostro dell’Infermeria, originario alloggio delle truppe del Vimercati
inglobato nella costruzione, il Chiostro Grande, su cui affacciavano le celle
dei frati, e il Chiostro dei Morti attiguo alla chiesa. Di questo chiostro oggi
è possibile vedere la ricostruzione post-bellica, in quanto interamente
distrutto dai bombardamenti del 1943. È costituito, a nord, dal fianco nord
della chiesa, mentre sugli altri tre lati corre un portico di colonne in
serizzo con capitelli gotici a foglie lisce. Sul portico si affacciano, a est,
l’antica Cappella delle Grazie, le sale del Capitolo e del Locutorio e a nord
la biblioteca, edificata da Solari sul modello della già celebre Biblioteca del
convento domenicano di San Marco a Firenze, progettato da Michelozzo vent’anni
prima. Il lato sud è invece interamente occupato dal refettorio, contenente il
celeberrimo Cenacolo Vinciano.
Il refettorio
Ultima Cena di Leonardo da Vinci
La sala di Pietro Maschera, rettangolare, ha un’elaborata
copertura costituita da una volta a botte “unghiata”, che si conclude nelle testate
con volte “a ombrello”. All'interno era interamente decorata ad affresco sulle
pareti e sulla volta. A seguito del crollo della volta e delle pareti
principali, restano le due pareti terminali con l’Ultima Cena di Leonardo da
Vinci a destra e a sinistra la Crocefissione di Donato Montorfano, temi
consueti per la decorazione dei refettori conventuali.
La Crocefissione, firmata e datata 1495 alla base della
Croce, è l'impresa di maggiore levatura conservata del pittore milanese.
Nell'interessante architettura dipinta sullo sfondo, sono già presenti elementi
di linguaggio bramantesco. Nonostante il crollo del refettorio, l'opera si
presenta complessivamente in buone condizioni. Completamente perduti sono
invece i ritratti della famiglia ducale dipinti da Leonardo agli angoli del
dipinto: Ludovico il Moro e Massimiliano a destra, Beatrice e Francesco a
sinistra. Le figure vennero dipinte di profilo con la stessa tecnica a secco
utilizzata per il cenacolo, che le condannò alla precoce scomparsa. Furono viste
e lodate dal Vasari nel corso della sua visita a Milano. Le scarse tracce oggi
presenti mostrano le caratteristiche del rigido ritratto di corte dalla
consolidata tradizione, il che ha portato alcuni critici a metterne in dubbio
la paternità di Leonardo, sempre estremamente innovativo nelle sue
realizzazioni. Dalla maggioranza della critica, anche sulla base delle
risultanze scientifiche dei restauri, sono tuttavia considerate autenticamente
di sua mano.
La Basilica Solariana
L’edificazione della chiesa venne iniziata, come di
consueto, dalla zona absidale, contemporaneamente alla costruzione del
convento. Nel progetto, il Solari si attiene alla consolidata tradizione gotica
settentrionale della basilica a tre navate, con volte a ogiva e facciata a capanna.
Anche i materiali sono quelli della tradizione lombarda, il cotto per le
murature e la pietra di granito per le colonne e i capitelli. L’impianto è
quello della chiesa a sala, con tre navate basse e larghe, separate da colonne
in pietra che facilitano il passaggio della luce creando un ambiente unitario,
sviluppato più orizzontalmente che verticalmente[4]. Le navate sono coperte da
volte a crociera con cordonature, rette da capitelli a foglie. La fattura dei
capitelli, non più a foglie lisce com’era uso, ma con motivi che richiamano
l’ordine corinzio, è una timida concessione allo stile classicheggiante che
ormai si stava diffondendo anche al nord.
Le navate minori sono fiancheggiate da file di sette
cappelle laterali quadrate, illuminate da un tondo centrale e due finestre ad
arco acuto. La struttura è quindi la stessa della precedente sede domenicana di
Sant’Eustorgio, così come delle altre creazioni solariane a Milano: l'Abbazia
di Casoretto, San Pietro in Gessate, Santa Maria della Pace.
La semplice facciata a capanna è divisa in cinque campiture
da sei contrafforti. La larghezza è quasi il doppio dell’altezza. Altezza che è
comunque superiore a quella delle navate interne, come si può vedere dagli
oculi, murati in quanto collocati al di sopra della quota del tetto. La sobria
decorazione è costituita dai rilievi in cotto a stampo che incorniciano le
monofore e i rosoni, e dagli archetti che ne decorano il coronamento. Le porte
laterali appaiono senza ornamenti, dopo che nell’ottocento furono asportati i
portali barocchi nel corso dei restauri compiuti da Luca Beltrami, che
intendeva riprodurre l’aspetto quattrocentesco.
Il portale centrale, in marmo bianco, costituisce il primo
intervento attuato su impulso di Ludovico il Moro, subentrato al Vimercati nel
patrocinio dei lavori del complesso. Sui due piedestalli cubici poggiano le
colonne in marmo bianco, decorate da una fascia in pietra a motivi floreali.
Posteriormente sono affiancate da pilastri decorati a candelabre, in
particolare sul sinistro è visibile la “scopetta”, impresa di Ludovico il Moro.
Sorretta da questi elementi è un’alta trabeazione, decorata con tondi con
profili di figure. A coronamento vi è una lunetta con volta a cassettoni, che
ospita un settecentesco affresco di Bellotti. L’attribuzione del progetto, da
alcuni assegnato a Bramante, non è unanime. Il candore del marmo bianco, la
grazia delle decorazioni d’ispirazione classica e la linearità geometrica del
portale sono esaltati dal contrasto con la sobria struttura in cotto della facciata.
La Tribuna Bramantesca
Nel 1492 il nuovo signore di Milano, Ludovico il Moro,
all’indomani dello sfarzoso matrimonio con Beatrice d'Este, decide l’erezione
di un monumento che testimoniasse anche a Milano il nuovo stile ormai diffuso
nelle corti più ricche ed aggiornate della penisola, Firenze, Ferrara, Mantova,
Urbino, Venezia. Così, soli dieci anni dal completamento della chiesa del
Solari, ne viene iniziata la demolizione ed il 29 marzo 1492 l’arcivescovo
Guidantonio Arcimboldi benedice la prima pietra della nuova tribuna.
La tribuna è tradizionalmente attribuita a Bramante, anche
se mancano prove documentarie, se non che il Bramante era in quegli anni
ingegnere ducale e viene nominato una volta negli atti della chiesa (una
consegna di marmo nel 1494). Alcuni studi recenti fanno anche il nome
dell'Amadeo; quasi certamente il Bramante dovette essere comunque responsabile
del progetto iniziale, ma non seguì poi i lavori veri e propri, che
probabilmente furono diretti da Giovanni Antonio Amadeo.
La tribuna è costituita da un cubo di dimensioni imponenti,
al cui centro si erge la cupola emisferica, raccordata da pennacchi, nei quali
sono iscritti tondi che racchiudono i quattro Dottori della Chiesa. La cupola
poggia su un basso tamburo, che ha l’originale aspetto di un grande loggiato
che corre lungo tutta la circonferenza, che alterna bifore aperte e bifore
cieche. La limpida figura geometrica del cerchio della cupola, simbolo di
perfezione, è ripresa dalla decorazione a motivi circolari neri su intonaco
bianco, dal giro di oculi aperti in alto, fino al tondo centrale della
lanterna. Grandiosi archi a tutto centro occupano i quattro lati del cubo, le
cui sommità sono tangenti alla circonferenza della cupola. Le due arcate
laterali si aprono su absidi simmetriche, con volte a cassettoni. Le due arcate
centrali si aprono l’una sulla navata centrale, l’altra sul coro. Quest’ultimo
è costituito da un vano cubico con un’elegante volta a ombrello, terminante in
un’abside uguale alle precedenti. La struttura generale richiama l’impianto della
Sacrestia brunelleschiana in San Lorenzo a Firenze, e la cappella Portinari in
Sant’Eustorgio. In tutta la decorazione si ripetono i motivi circolari dei
tondi, inscritti nell’alta trabeazione, nei sottarchi, nei pennacchi e nella
cupola, e il motivo della ruota radiata, già usato da Bramante nell’incisione
Prevedari e in Santa Maria presso San satiro. L’equilibrio delle proporzioni
del progetto è basato sulla larghezza della navata centrale della chiesa che,
raddoppiata, corrisponde ai lati del presbiterio e al diametro della cupola.
Oltre ai ricordati ornamenti, la superficie interna della tribuna è
caratterizzata da una delicata decorazione a graffio, che rende vibranti le
superfici con il suo tenue chiaroscuro. Come per il progetto della tribuna, anche
l'attribuzione dell'ideazione e dell'esecuzione di questa sono controversi; per
l'ideazione, molti la ritengono opera di Bramante stesso, quanto
all'esecuzione, è stato fatto il nome di Zenale e di altri minori.
All'esterno la tribuna prospetta su Corso Magenta e via
Caradosso, mentre il lato nord si affaccia sul chiostro delle rane. Si presenta
come un monumentale cubo, dal quale si dipartono dai fianchi le due absidi
semicircolari, mentre dietro si allunga il parallelepipedo del coro, che si
conclude anch'esso con un'abside semicircolare uguale alle due laterali. Al di
sopra si eleva il tiburio, in forma di prisma, concluso dall'alta galleria. Sul
lato nord è il piccolo campanile, a pianta rettangolare, che si innalza a
finaco della cupola fino all'altezza della galleria. La decorazione costituisce
uno dei migliori esempi di decorazione plastica del panorama rinascimentale
lombardo, insieme con la Certosa di Pavia e la cappella Colleoni di Bergamo,
con le quali presenta evidenti affinità, di ispirazione ed esecuzuione. È
realizzata in cotto, granito e pietra d'Angera. La notevole ricchezza ed
esuberanza che la caratterizza la avvicina maggiormente alla tradizione locale
lombarda rispetto ai più sobri modi bramanteschi e toscani. L'alto piedistallo
con cornici in granito presenta grandi patere circolari con stemmi sforzeschi e
domenicani. Sulla fascia superiore corre una teoria di finestroni e nicchie
dalle cornici in cotto. Al di sopra un'alta parte intonacata mostra la
decorazione più elaborata; tondi con eleganti motivi geometrici si alternano a
lesene corinzie in cotto e candelabre classicheggianti. Sui riquadri che
costituiscono i piedistalli alle lesene decorazioni floreali si alternano a
medaglioni con busti di Santi. Particolarmente ridondante è anche la
decorazione del tiburio della cupola. Una teoria di bifore rettangolari
coronate da timpano è sormontata da fasce di decorazioni in cotto e infine
l'alta galleria retta da colonne e archi, dietro la quale gli oculi che danno
luce all'interno.
Il Mausoleo Sforzesco e il coro
Non è chiaro se l'intenzione del Moro di fare delle Grazie
il luogo di sepoltura degli Sforza fosse presente fin dall'inizio, o fosse
maturata solo nel 1497, alla morte dell'amatissima consorte Beatrice d'Este per
le conseguenze di un parto prematuro. La Duchessa, scomparsa a soli ventidue
anni, fu tumulata con grandi onori all'interno del coro della basilica. Il
mausoleo venne realizzato da Cristoforo Solari in marmo bianco, con la
rappresentazione di entrambe i coniugi distesi a grandezza naturale sul
coperchio. In seguito alla morte e alla sepoltura del Moro in Francia, al
termine della prigionia cui venne costretto dopo la disfatta di Novara, il
mausoleo venne smembrato e disperso. Il solo coperchio con le statue dei Duchi
fu successivamente collocato all'interno della Certosa di Pavia.
Oggi nel coro si possono ammirare gli stalli lignei
destinati ai frati. Gli stalli sono disposti su due file. Le tarsie della fila
inferiore mostra uno stile più arcaico, con una prevalenza di motivi
geometrici. I dossali della fila superiore ospitano tarsie di grandi
raffinatezza, raffiguranti figure di santi alternate con motivi floreali,
realizzate all'inizio del Cinquecento.
Secondo una antica tradizione milanese Ludovico il Moro fece
anche costruire un cunicolo collegante il castello, poi chiamato Sforzesco al
convento.
Dal Cinquecento al Settecento
Con la caduta di Ludovico il Moro (1499), e il successivo
passaggio del Ducato di Milano alla Corona di Spagna dopo l'estinzione della
dinastia Sforzesca (1535), cessarono tutte le opere di costruzione, che avevano
avuto nel Duca Ludovico il principale promotore e finanziatore. Continuò per
tutto il cinquecento e il seicento l'attività pittorica di decorazione interna.
A partire dal 1539, il complesso divenne sede del Tribunale
dell'Inquisizione, retto dai padri Domenicani e qui trasferito dalla primitiva
sede di Sant'Eustorgio. Per questo fu aggiunta una nuova ala al convento,
addossata al refettorio, abbattuta poi nel 1785 con la soppressione del
Tribunale per ordine di Maria Teresa d'Austria.
I restauri ottocenteschi
Sul finire dell'Ottocento, la chiesa fu interessata da un
importante restauro attuato sotto la direzione di Luca Beltrami. All'interno
della chiesa, sotto le ridipinture e le decorazioni successive, completamente
asportate, furono riscoperte le originali decorazioni quattrocentesche ad
affresco delle navate e le decorazioni a graffio della tribuna. All'esterno,
l'abside fu liberata dalle costruzioni che vi erano addossate, e fu rifatto il
campanile secondo lo stile della tribuna, abbassandone l'altezza. Sempre in
stile neorinascimentale, fu edificato il piccolo Chistro del Priore, cui si
accede dal Chiostro delle rane.
Seconda guerra mondiale
Il refettorio fu raso al suolo, si salvarono pochi muri, fra
cui quello del Cenacolo, che era stato rinforzato appositamente con sacchi di
sabbia. Fu completamente distrutto il solariano Chiostro dei Morti, la
biblioteca, e il fianco sinistro della chiesa con le relative cappelle. La
ricostruzione del dopoguerra fu solo parziale.
Nel giugno del 1993 papa Giovanni Paolo II la elevò alla
dignità di basilica minore.
Architettura
Le navate costruite dal Solari, immerse nella penombra,
vennero illuminate da Bramante con una monumentale tribuna all'incrocio dei
bracci, coperta da una cupola emisferica. Vi aggiunse inoltre due ampie absidi
laterali e una terza, oltre il coro, in asse con le navate. L'ordinata
scansione degli spazi si riflette anche all'esterno, in un incastro di volumi
che culmina nel tiburio che maschera la cupola, con una loggetta che si
riallaccia ai motivi dell'architettura paleocristiana e del romanico lombardo.
È perfettamente conservata la decorazione delle tre navate,
che copre interamente le volte e le pareti e che fu realizzata immediatamente
dopo l'ultimazione della chiesa. I motivi geometrici a colori vivaci, le
fiammelle e i radiali sono testimonianza del gusto tardogotico ancora diffuso.
Di matrice rinascimentale sono invece i tondi, rappresentati nelle lunette della
navata centrale, che rappresentano Santi entro una finta architettura in
scorcio, variamente assegnati a Butinone, Zenale e Montorfano. Di mano del
Butinone sono anche i pregevoli Santi domenicani rappresentati a figura intera
nelle navate minori, fra le cappelle.
Nel chiostrino adiacente alla tribuna, sulla porta che
conduce alla sacrestia, c'è un affresco realizzato da Bramantino.
Le cappelle laterali
La chiesa presenta sui due fianchi sette cappelle quadrate
per lato, realizzate dal Solari ad eccezione dell’ultima a sinistra, dedicata
alla Vergine delle Grazie e presistente alla costruzione del complesso.
Immediatamente dopo la costruzione dell’edificio, i più importanti casati
milanesi richiesero il patrocinio delle cappelle, da utilizzarsi come sepoltura
per i membri delle famiglie, ed affidandone la decorazione a vari artisti a
cavallo fra quattrocento e cinquecento. Dal Libellus Sepulchrorum conservato
negli archivi di stato, è possibile risalire alla committenza e alla
decorazione originaria, anche per le capelle del lato sinistro distrutte
durante la seconda guerra mondiale.
Cappella della Vergine Adorante
Prima a destra. La cappella, appartenente a Paolo da
Cannobbio, era originariamente dedicata a San Paolo, raffigurato in un dipinto
di Gaudenzio Ferrari collocato sull’altare. Il dipinto, requisito durante la
dominazione francese all’inizio dell’ottocento, è ora conservato al museo di
Lione. Oggi ospita sull’altare un affresco staccato, proveniente dalla cappella
della Vergine delle Grazie, raffigurante la Madonna adorante il bambino, che
contiene in basso i ritratti dell’intera famiglia dei committenti. Non è noto
l’autore dell’opera di fine Quattrocento, di gusto ancora tardogotico.
Alla parete destra è posto il monumento funebre di Francesco
Della Torre commissionato nel 1483. Il sarcofago classicheggiante, sorretto da
colonne a candelabra, è ornato dai bassorilievi con l’Annunciazione,
l’Adorazione dei pastori e l’Adorazione dei Magi. Prevalente è l’attribuzione
ai fratelli Cazzaniga, figure di spicco della scuola rinascimentale lombarda.
Cappella di San Martino De Porres
Seconda a destra, contiene una pala d'altare raffigurante
San Martino in estasi, opera di Silvio Consadori (1962). Alle pareti quattro
cenotafi del secolo XVI. Nella cappella vi era un affresco, strappato negli
anni 1959/60 e riportato su tela, ora nella Nuova Sagrestia, che rappresenta
San Martino a cavallo mentre dona il mantello al povero, probabilmente
dell'inizio del sec. XVI. Sul pilastro a destra: Santo Domenicano con crocifisso.
Cappella degli Angeli, o Marliani
Terza a destra. Affreschi e pala d’altare di anonimo
lombardo del XVI secolo (probabile imitatore del Parmigianino), con episodi
relativi all’Arcangelo Michele (circa 1560). Nella volta i nove cori angelici,
di autore ignoto. Nelle lunette laterali: a sinistra la cacciata degli angeli
ribelli; a destra l'invio dell'arcangelo Gabriele, opera dei figli di
Bernardino Luini. Sul pilastro a destra: Beato Antonio da Savignano, martire (+
1374).
Cappella di Santa Corona
Quarta a destra. Apparteneva alla Confraternita di Santa
Corona, che vi conservava una reliquia con la spina della corona di Cristo. Era
utilizzata come sepoltura per i rettori della confraternita, fondata nel 1494
da Stefano da Seregno, la cui sede è oggi visibile all'interno della Pinacoteca
ambrosiana. La facoltosa congregazione ordinò la decorazione ad affresco che
riveste l’intera cappella nel 1539 al pittore più in vista della Milano del
tempo, Gaudenzio Ferrari, che dipinse la Crocefissione e l'Ecce Homo alle
pareti, e Angeli con gli strumenti della passione nelle vele (1542). La Pala
d’altare fu invece commissionata a Tiziano. L’Incoronazione di spine dipinta
dal maestro veneto è oggi esposta al Louvre, nella sala della Gioconda, dopo
che fu asportata dai commissari Napoleonici all’inizio dell’Ottocento. L’opera,
ritenuta uno dei capolavori della maturità dell’artista, presenta caratteri
tipici del manierismo romano nella monumentalità e nella posa avvitata delle
figure. Il suo stile ebbe grande influenza nella cultura pittorica milanese,
visibile anche negli stessi affreschi di Gaudenzio che ne condividono i toni
imponenti e fortemente drammatici. Attualmente la cappella conserva la pala
d'altare Deposizione dalla Croce del Caravaggino (1616).
Cappella di San Domenico, o Sauli
Quinta a destra. Domenico Sauli commissionò nel 1541
l’intera decorazione pittorica, comprendente gli affreschi e la pala d’altare,
al veneto Giovanni Demìo. Il ciclo, che comprende la Crocefissione all’altare,
le lunette con Noli me tangere e i Discepoli in Emmaus e la decorazione della
volta, mostra un forte accento manierista, caratterizzato da accenti nordici.
Alle pareti angeli in terracotta ricoperta di stucco, recanti gli strumenti
della Passione, di autore ignoto. Sul pilastro a destra: Beato Antonio da Asti,
martire (sec. XIV).
Cappella di San Vincenzo Ferrer, o Atellani
Sesta a destra. Originariamente appartenente alla famiglia
degli Atellani, il cui palazzo quattrocentesco si può ancora vedere sul fianco
della chiesa delle Grazie, fu affrescata nel seicento dai Fiammenghini,
contiene la pala d'altare: Madonna con Bambino e i Santi Vincenzo Martire e
Vincenzo Ferreri, di Coriolano Malagavazzo (1595). Sul pilastro a destra era
presente un'immagine di San Domenico andata distrutta durante i bombardamenti
del 1943.
Cappella di San Giovanni Battista
Settima a destra. Gli affreschi tardocinquecenteschi sono
del manierista Ottavio Semino. Particolarmente elaborata è la volta a ombrello,
dove Semino raffigura Profeti nelle lunette e negli spicchi, con Dio padre al
centro. Dell’inizio del Cinquecento è invece la Pala di Marco d’Oggiono,
allievo di Leonardo. Contiene il ritratto dell’ignoto committente, appartenente
all’Ordine dei Cavalieri di Malta, in adorazione del Battista.
Cappella di Santa Caterina, o Bolla
Prima a sinistra. Gli affreschi contenuti nelle lunette,
gravemente danneggiati durante la seconda guerra mondiale, sono la
testimonianza della più antica fra le decorazioni delle cappelle. Rappresentano
episodi di vita della Santa titolare della Cappella, commissionati dalla
famiglia Bolla già alla fine del Quattrocento, variamente attribuiti a Donato
Montorfano e a Cristoforo De' Mottis. Oltre al trittico cinquecentesco firmato
Niccolò da Cremona, la cappella contiene opere scultoree di Francesco Messina:
il Crocefisso sull'altare, e le sei formelle bronzee ispirate alla vita di
Caterina da Siena.
Cappella Conti
Quarta a sinistra. Dopo la ricostruzione postbellica sono
stati sistemati qui vari cenotafi, fra cui quello di Ettore Conti, promotore
dei restauri degli anni trenta, di Wildt.
Cappella di San Giuseppe
Sesta a sinistra. Integralmente ricostruita dopo la seconda
guerra mondiale, ospita una Sacra Famiglia cinquecentesca di Paris Bordon.
Cappella della Vergine delle Grazie
Settima a sinistra. La cappella era preesistente alla
costruzione della chiesa, e costituisce il nucleo originario da cui prese
origine tutto il complesso a cui diede anche il nome. Essa infatti esisteva già
sul terreno che il Conte Vimercati donò ai monaci, e partendo dalle murature
esterne di questa il Solari iniziò l'edificazione del convento e della chiesa.
Sopra l'arco d'ingresso alla cappella, la lunetta ospita la
tela del Cerano con la Vergine libera Milano dalla Peste, eseguita dopo il 1630
come ringraziamento per la cessazione della tragica pestilenza che aveva
falcidiato la popolazione milanese. L'opera contiene dettagli di crudo
realismo, come il cadavere del bambino in primo piano e il bubbone esibito
dalla donna retrostante, ed è pervasa da una cupa desolazione che rende ancora
oggi la tragica atmosfera narrata da Alessandro Manzoni. All'interno della
cappella, la pala d'altare raffigura la Madonna con il committente Gaspare
Vimercati e la moglie, risalente alla fine del Quattrocento. Della stessa epoca
è anche l'affresco sovrastante con l’Eterno circondato da Angeli, dai modi che
ricordano ancora il gotico cortese. Per la sua affinità con gli affreschi della
cappella ducale del Castello Sforzesco, è ritenuto di Bonifacio Bembo o della
sua scuola.
Tutte le vetrate nella cappella, realizzate nel 1963, sono
opera della pittrice Amalia Panigati e raffigurano l’Annunciazione, la
Natività, la Crocifissione e l’Incoronazione della Vergine; la vetrata del
portale sul chiostro rappresenta invece una Croce.
Il Chiostro delle rane, o Chiostro piccolo
Si tratta del chiostro adiacente alla tribuna Bramantesca,
che collega quest'ultima con la sagrestia monumentale.
È oggi detto "delle rane" per via delle ranocchie
in bronzo che ornano la fontanella al centro del chiostro. La sua costruzione
si colloca alla fine del Quattrocento, negli anni della ricostruzione della
tribuna, e viene quindi ritenuto parte dello stesso progetto di Bramante per la
tribuna.
Perfettamente quadrato, è costituito da cinque arcate per
lato in cotto, rette da colonne marmoree e capitelli a motivi rinascimentali.
Sulle lunette d'ingresso alla chiesa e alla sagrestia si trovano due lunette
monocrome ascritte a Bramantino.
La Sagrestia Vecchia, o del Bramante
La sagrestia vecchia è un grande ambiente cui si accede dal
Chiostro delle rane, sul lato opposto a quello della chiesa. Si tratta di una
vasta aula rettangolare, che prospetta su Via Caradosso con grandi finestroni
dalle cornici in cotto, restaurate nell'Ottocento. La sua costruzione risale
all'ultimo decennio del Quattrocento, in concomitanza con il rifacimento della
Tribuna. Il progetto è tradizionalmente assegnato a Bramante. Sopra il portale
d'ingresso, una lunetta di Bramantino raffigura la Madonna fra San Giacomo e
San Luigi di Francia. La presenza di quest'ultimo Santo fa risalire la
datazione al periodo di dominazione Francese, fra il 1499 e il 1512. L'aula
interna è coperta da una volta a botte unghiata, con testate a ombrello, e
termina con una piccola abside. La decorazione ad affresco che ricopre la volta
è stata da taluni attribuita a Leonardo, per la presenza del motivo del Nodo
Vinciano, utilizzato anche nella Sala delle Asse al Castello Sforzesco[22]. Al
di sotto della volta, l'alta trabeazione presenta motivi decorativi
classicheggianti con draghi e conchiglie. Lungo tutto il perimetro della
sagrestia corrono gli armadi lignei destinati a custodire gli arredi sacri.
Tutti gli sportelli sono ornati da dipinti databili all'inizio del Cinquecento,
con scene bibliche. Di grande bellezza sono le quattordici ante a destra, con
scene del Nuovo Testamento, nei modi del Bramantino, mentre sul lato sinistro
sono raffigurati episodi dal Vecchio Testamento. Completano la decorazione
della sala, sulla parete di fondo, affreschi cinquecenteschi.
Organo a canne
Sotto il pavimento dell'abside, si trova l'organo a canne,
costruito nel 1965 dalla ditta organaria Balbiani-Vegezzi Bossi.
Lo strumento, a trasmissione elettrica, ha tre tastiere di
61 note ciascuna ed una pedaliera concavo-radiale di 32."
Chiesa di Santa Maria delle Grazie e Cenacolo Vinciano
Piazza Santa Maria delle Grazie, 2
Milano
Tel. 02-4987588
Cenacolo Vinciano
Tel. 0292800360
Per prenotare l’ingresso al Cenacolo Vinciano.
Il servizio è attivo dal Lunedì al Sabato dalle ore 8.00 alle
ore 18.30
Visitato il 27/09/2015
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