Casa Degli Atellani e La Vigna Di Leonardo - Milano
Un tesoro nascosto che inaspettatamente si rivela: splendida
dimora e… il vitigno del Genio.
Il
vigneto che Ludovico il Moro donò a Leonardo da Vinci, mentre stava ancora
lavorando all'Ultima Cena, come gesto di riconoscenza per «le svariate e
mirabili opere” da lui eseguite è
visitabile dall’ anno scorso e precisamente dall’ inizio di Expo.
E
il dono non fu casuale ma dovuto al fatto che la famiglia di Leonardo possedeva
molti vigneti in Toscana.
All'epoca,
non essendo ancora aperta l’attuale via Zenale, si presume che Leonardo
transitasse per il giardino della Casa degli Atellani.
Oggi
la Vigna di Leonardo a Milano è uno dei luoghi più affascinanti del centro
città: la Vigna si trova vicino a Santa Maria delle Grazie, nel cortile della
Casa degli Atellani, uno splendido palazzo in cui suggestioni antiche di scuola
del Luini si mescolano con i restauri di Piero Portaluppi, autore anche di
Villa Necchi Campiglio.
La
casa degli Atellani è, seppur modificata nei secoli, il solo edificio di corso
Magenta che conservi ancora l’aspetto che presentava durante il Rinascimento.
La
visita alla casa degli Atellani e alla Vigna di Leonardo si articola attraverso
un percorso di sette tappe, supportato da un’audioguida in dieci lingue
diverse, compreso il dialetto Milanese.
Il
tour prevede la visita al cortile di Portaluppi, realizzato unendo le corti dei
due edifici rinascimentali pre-esistenti; la sala dello Zodiaco, con gli
affreschi dei segni zodiacali; la sala dei ritratti attribuiti a Bernardino
Luini e bottega; lo studio di Ettore Conti, proprietario della casa dal 1919 e
committente della ristrutturazione ad opera di Portaluppi, suo genero; la sala
dello Scalone; il giardino delle delizie e infine il sito dove è stata
reimpiantata la vigna di Leonardo.
I
biglietti hanno un costo di 10 euro (ridotto 8 euro per over 65, ragazzi da 6 a
18 anni, studenti e gruppi di oltre 20 persone; gratis bambini sotto i 6 anni)Non
si può spiegare la meraviglia che suscita questo luogo, nascosto dietro ad un
portone di corso Magenta. Un tesoro nascosto che inaspettatamente si rivela.
Visitarla
è un'esperienza unica
A seguire alcuni approfondimenti tratti dal sito ufficiale:
-CRONACA DI UN PROGETTO - Piero Portaluppi e le case degli Atellani.
Non
lontano dal Cenacolo di Leonardo da Vinci e di fronte a Santa Maria delle
Grazie, la casa degli Atellani è, seppur modificata nei secoli, il solo
edificio di corso Magenta che conservi ancora l’aspetto che presentava durante
il Rinascimento. Ma chi erano gli Atellani? Gli Atellani, o della Tela, erano
una famiglia di cortigiani e diplomatici, originari della Basilicata, giunti al
nord nel corso del Quattrocento, al servizio dei duchi di Milano, di Ludovico
il Moro e degli Sforza. È proprio il Moro, nel 1490, a regalare a Giacometto
della Tela, capostipite conosciuto della famiglia, due case a corte con
giardino situate lungo il borgo delle Grazie, l’attuale corso Magenta. Due case
vicine e separate: l’una nel luogo dello scomparso numero civico 67; l’altra,
probabilmente già ricostruita nel primo Cinquecento, nel luogo dell’attuale
ingresso al numero civico 65. I discendenti di Giacometto le abitano fino al
Seicento. Nel 1919 il senatore Ettore Conti ne diventa il nuovo proprietario e
affida all’architetto Piero Portaluppi, suo genero, l’incarico di trasformarle
nella sua nuova abitazione. Portaluppi abbatte il muro che le separava e
s’inventa una casa sola, unendo le due corti preesistenti grazie a un nuovo
atrio porticato, sotto il quale prevede l’ingresso all’appartamento padronale.
La pianta della nuova casa viene riequilibrata intorno a un inedito asse
prospettico che si spinge fino al giardino interno. In fondo al primo cortile,
l’architetto riporta alla luce tre muri di affreschi probabilmente dipinti nel
1533 in occasione del matrimonio fra Francesco II Sforza e Cristina di
Danimarca; altri frammenti d’epoca, come le arcate e lo sporto del primo piano,
sono messi in mostra lungo le pareti del secondo cortile. Intorno al portale su
corso Magenta, Portaluppi sigla il progetto con le finestre a triangolo
polilobato e con il cancello, su cui disegna il motivo dell’orifiamma. Il
volume e il fronte su strada attuale vengono ricostruiti dall’architetto nel
dopoguerra, per rimediare alle distruzioni causate dai bombardamenti che,
nell’agosto del 1943, si abbattono sulla casa. Portaluppi abitava
nell’appartamento al pianoterra, proprio in fondo al secondo cortile, dove è
tuttora appesa la casetta simbolo del suo studio.
-LA SALA DELLO ZODIACO - Fare senza dire.
Decorare
gli ambienti con immagini astrologiche era un’usanza già medioevale, comune
prima agli edifici religiosi e diffusa, dalla fine del Duecento, anche agli
edifici di carattere civile. La sala dello zodiaco di casa degli Atellani risulta
già citata in un documento del 1544. La sala prende il nome dai segni dello
zodiaco dipinti nelle lunette, mentre sulla volta compaiono i carri dei pianeti
e, alle pareti, una carta d’Italia, la Rosa dei venti e alcune figure che
rappresentano le stagioni. A fronte dei dodici segni zodiacali ora le lunette
però sono quattordici: nel 1922 Portaluppi amplia la sala abbattendo l’obliquo
muro finestrato che la delimitava; dopodiché decora lo spazio aggiunto con gli
astrolabi che tanto amava e disegna due nuove lunette, riconoscibili dal
proprio motto faire sans dire e dalle iniziali H e J, che starebbero per Hector
e Joanna, i nomi di Ettore Conti e di sua moglie, Giannina Casati. Sul mosaico
del pavimento Portaluppi ridisegna pianeti e segni dello zodiaco, in
corrispondenza degli affreschi in parete, e traccia in diagonale, dove poggiano
le due colonne, l’ingombro del muro abbattuto, che era poi il muro che separava
le due vecchie case. Piero Portaluppi resta fra i più importanti architetti del
Novecento milanese: fra le tante opere rimaste in città, sono sue, su diverse
scale d’intervento, il palazzo con l’arco e il planetario in corso Venezia, il
palazzo della Banca Commerciale in largo Mattioli e villa Necchi Campiglio in
via Mozart. La sala dello zodiaco è il capolavoro dell’arte mimetica di
Portaluppi, della sua capacità di mescolare vero antico e falso storico. In
buona sostanza, la parete a occidente è molto manipolata, ma le pareti a
oriente, restaurate dall’architetto e da Conti nel 1922, sono autentiche. Non
si conosce l’autore di questi affreschi; un’ipotesi li vorrebbe opera degli
Avogadro di Tradate, una famiglia di pittori attiva per generazioni nel
Cinquecento.
-LA SALA DEL LUINI - Un caso di devozione cortigiana.
Gli
Atellani erano una famiglia devotissima agli Sforza, dinastia cui restarono
fedeli sempre e per la quale, nel corso delle guerre d’Italia del primo
Cinquecento, svolsero diversi incarichi diplomatici. Il segno di questa
devozione è senz’altro la Sala dei ritratti, la sala al pianterreno della casa
dove sono dipinti, sotto una volta a lunette completamente affrescata con
arabeschi e motivi vegetali, quattordici tondi con le fattezze di altrettanti
uomini e donne della dinastia sforzesca. Per identificarli, è necessario
decifrare l'iscrizione che accompagna ogni ritratto. Nei quattordici manca
Cristina di Danimarca, la giovanissima moglie di Francesco II: un’assenza che
ragionevolmente colloca la realizzazione dei ritratti a dopo il 1522, anno
della seconda restaurazione sforzesca, ma non oltre il 1533, anno del loro
matrimonio. I quattordici personaggi ritratti sono: esattamente sopra
l'ingresso Muzio Attendolo Sforza, padre di Francesco I e capostipite della
casata; alla sua sinistra Francesco II, l'ultimo duca, e alla sua destra il fratello
Massimiliano, il penultimo. Sui due lati lunghi si fronteggiano quattro coppie,
maschi contro maschi, femmine contro femmine: a sinistra dell'ingresso,
nell'ordine, Bianca Maria Visconti e il marito Francesco I, Ludovico il Moro e
la moglie Beatrice d'Este; a destra, nell'ordine, Bona di Savoia e Galeazzo
Maria, successore di Francesco I, e Gian Galeazzo Maria e Isabella d'Aragona,
la coppia che invano cercò di regnare, sempre osteggiata dal Moro. Sul lato
corto dirimpetto il cardinale Ascanio, fratello di Ludovico, è attorniato da
Bianca Maria, figlia di Galeazzo Maria, e dal marito Massimiliano I d'Asburgo,
l'unico intruso della compagnia. La sala dei Ritratti è ormai attribuita con
certezza a Bernardino Luini e bottega, ossia a Bernardino Luini e ai suoi
quattro figli. Solo gli intrecci floreali del soffitto e delle volte, però,
sono gli affreschi originali. Nel 1902, onde impedirne la più volte minacciata
vendita all’estero, i ritratti sono stati acquistati dal Comune e trasferiti al
museo del Castello Sforzesco, dove giacciono tuttora esposti. Gli affreschi
presenti in sala oggi sono delle copie realizzate negli anni venti, all'epoca
del progetto di Portaluppi.
-LA SALA DELLO SCALONE - Dagli Atellani in avanti.
Lo scalone
di casa degli Atellani ci consente di dare uno sguardo al resto della storia di
questo edificio. Dagli Atellani ad Ettore Conti, in quattro secoli di storia le
case passano attraverso tre differenti proprietà. Nel Seicento Barbara, ultima
erede di Giacometto, sposa il conte Cesare II Taverna, discendente diretto di
Francesco Taverna e appartenente a una delle più importanti famiglie milanesi
dell’epoca. Con la morte di Barbara le case vengono perciò trasmesse in eredità
ai Taverna, che non le abitano mai e nel 1778 le rivendono alla famiglia
Pianca. Toccherà a Don Angelo Pianca, nel 1823, promuovere la prima
trasformazione, in senso neoclassico, dell’edificio, per mano dell’architetto
Carlo Aspari e di suo padre, l’incisore Domenico. Le case cambiano di nuovo
proprietario nemmeno trent’anni dopo, grazie al matrimonio dell’unica erede
Pianca con il conte Martini di Cigala. Nel 1919 i Martini di Cigala, nobili
torinesi, le rivendono ad Ettore Conti.
Il primo
progetto di Portaluppi, nel 1922, ridisegna corti e giardino e rivoluziona la struttura
e gli interni dell’edificio, lasciando però intatta, su corso Magenta, la
facciata neoclassica degli Aspari, che sarà cancellata dal nuovo progetto del
dopoguerra. Già nel 1922 questo scalone, pensato da Portaluppi, portava
all’enfilade dei grandi saloni di rappresentanza del primo piano, abbattuti dai
bombardamenti: la cosiddetta sala Omnibus, il vestibolo, la sala del bigliardo
e il salone degli specchi, oltre alla sala da pranzo, l’unica conservata nello
stesso volume. I fregi floreali vicino al soffitto ornavano il fronte sul
giardino e fanno parte delle tante tracce e reliquie del tempo degli Atellani,
ritrovate e riposizionate dall’architetto durante il cantiere: come la
crocifissione e il quattrocentesco trono di grazia alla lombarda, sulle pareti
accanto all’ingresso. Piero Portaluppi concede l’onore delle armi alle famiglie
Taverna, Pianca e Martini incastonandone gli stemmi gentilizi nella balaustra
dello scalone. Alle pareti si trovano una pianta settecentesca della casa,
allora di proprietà dei conti Taverna, e una copia coeva del Veronese.
-LO STUDIO DI ETTORE CONTI - Dal taccuino di un borghese.
Il senatore
e ingegnere Ettore Conti è il primo, vero magnate dell’industria elettrica
italiana. Con le sue imprese, nel primo Novecento, costruisce molte centrali
idroelettriche nelle valli alpine, di regola su progetto di Portaluppi,
diventando uno dei più importanti industriali del ventennio fascista. Primo
presidente di Agip e presidente di Confindustria, incaricato di missioni
economiche all’estero, presidente per quindici anni della Banca Commerciale:
uno dei rari italiani che Mussolini non riusciva ad intimidire. Questo è il suo
studio. Sopra il camino è esposto lo stemmone di alleanza concepito per il
matrimonio di Cristina di Danimarca e Francesco II Sforza, probabilmente
ordinato dagli Atellani per rimediare all’assenza di Cristina dal novero dei
quattordici ritratti sforzeschi. Lo stemmone è composto dalle insegne di tutte
le armi coinvolte nel matrimonio. I quarti a sinistra, l’aquila dell’Impero e
il biscione concesso dai Visconti, valgono per Francesco II; i quarti a destra
valgono per Cristina. I tre leoni rappresentano la Danimarca, le tre corone la
Svezia, il leone d’oro la Norvegia, il drago d’oro il regno dei Vendi, sul mar
Baltico; nel riquadro, due leoni rappresentano lo Schleswig, la foglia d’ortica
l’Holstein, il cigno la contea di Storman e le due fasce rosse l’Oldenburgo. La
biblioteca e le pareti dello studio, con tanto di cariatidi, sono rivestite di
boiserie seicentesca di scuola valtellinese. I quattro ritratti di cani vengono
attribuiti al pittore barocco tedesco Rosa da Tivoli, mentre sulla parete
opposta è appesa una Torre di Babele di Marten van Valckenborch, pittore
fiammingo del tardo Cinquecento. Nel 1946 Ettore Conti pubblica Dal taccuino di
un borghese, le proprie memorie d’anteguerra. Muore nel 1972, all’età di 101
anni. È sepolto assieme alla moglie nella quarta cappella a sinistra di Santa
Maria delle Grazie, la basilica di cui per due volte, prima e dopo la guerra,
ha finanziato i restauri. In un’altra cappella delle Grazie, la sesta sulla
destra, riposano gli Atellani.
-IL GIARDINO DELLE DELIZIE - Le novelle di Matteo Bandello.
La casa
degli Atellani vive la sua età dell’oro nel periodo che va dal 1490, l’anno in
cui Ludovico il Moro regala la proprietà a Giacometto, al 1535, l’anno in cui,
dopo tante vicissitudini, Francesco II Sforza muore e il Ducato di Milano passa
definitivamente allo straniero. È in questi anni che Matteo Bandello, frate
domenicano di stanza alla Basilica delle Grazie, cortigiano e letterato, nonché
caro amico dei figli di Giacometto, ambienta la maggior parte delle sue
Novelle. Le 214 Novelle di Matteo Bandello, pubblicate nel 1554, sono in genere
riconosciute come il novelliere più importante del sedicesimo secolo. Molte
novelle sono annunciate dagli Atellani, oppure hanno gli Atellani come
spettatori; molte vengono raccontate e ambientate sullo sfondo della loro casa
e del loro giardino, luogo di cene e feste, centro privilegiato della vita
mondana milanese. Proprio sul terreno che si estendeva di fronte a questo
giardino, dall’attuale corso Magenta all’attuale via San Vittore, Ludovico il
Moro sognava di costruire un quartiere residenziale, dove ospitare i suoi
cortigiani più fedeli. Il sogno non sopravvisse alla caduta del Moro, nel 1500,
ma l’area arrivò comunque verde e intatta fino al 1922, ossia fino agli anni
del primo progetto di Portaluppi e della fondazione della via privata de'
Grassi, attuale confine della proprietà di casa degli Atellani. Le foto d'epoca
restituiscono l’immagine di un giardino trascurato, con una lunga serra a
dividerlo in due; nell'Ottocento il giardino di casa degli Atellani era invece
un giardino romantico all’inglese al quale dicono avesse messo mano Ercole
Silva, l’architetto paesaggista che, nel primo Ottocento, aveva introdotto il
giardino all’inglese in Italia. Lo stesso giardino viene riprogettato da
Portaluppi secondo nuove regole di simmetria, intorno a un viale prospettico
composto da cipressi, ornato di anfore e statue in pietra, completato da
parterres e fontane. L’ala orientale dell’edificio confinante con il Palazzo
delle Stelline è il solo volume aggiunto ex novo da Portaluppi nel progetto del
1922. Portaluppi, che non lasciò mai la sua casa, neanche durante la guerra,
neanche sotto i bombardamenti, muore nel 1967, e riposa oggi al Cimitero
Monumentale. Al suo giardino, nel dopoguerra, il nipote e architetto Piero
Castellini ha levato la polvere, in parte limando le fughe e le siepi disegnate
dal nonno.
-LA VIGNA DI LEONARDO DA VINCI - Una passione nascosta.
Leonardo da
Vinci si trasferisce a Milano, alla corte di Ludovico il Moro, nel 1482. Sedici
anni dopo, nel 1498, Ludovico regala a Leonardo una vigna. Una vigna di forma
rettangolare, larga 59 metri e lunga 175 metri, estesa nella direzione
dell’attuale via de’ Grassi: una vigna di quasi sedici pertiche, oltre un
ettaro di terreno. Parte della vigna di Leonardo si trovava qui, nel perimetro
dell’attuale giardino di casa degli Atellani. Leonardo da Vinci muore in
Francia, ad Amboise, il 2 maggio 1519. Nel testamento ordina che la sua vigna,
mai dimenticata, sia suddivisa in due lotti uguali: l’uno a Giovanbattista
Villani, il servitore che l’ha seguito fino alla fine; l’altro all’allievo
prediletto, Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì. Villani cede il proprio lotto
a un monastero; Salaì, che qui aveva costruito una piccola casa, viene ucciso
con un colpo di schioppo proprio in questi paraggi, il 19 gennaio 1524. Dopo la
sua morte Francesco II Sforza, ultimo duca di Milano, dona il lotto a Giovan
Francesco Stampa, un cugino lontano di Barbara Stampa, moglie di un figlio di
Giacometto. Sulla Vigna di Leonardo cade l’oblio per quattro secoli, fino ai
giorni in cui Portaluppi avvia il cantiere di casa degli Atellani. È in questo
periodo che l’architetto Luca Beltrami, grande storico di Leonardo, verifica
sugli atti e i documenti rinascimentali la possibile esatta posizione della
vigna, proprio in fondo a questo giardino. Ed è in questo periodo che Beltrami
identifica e fotografa la vigna di Leonardo e del Salaì, incredibilmente ancora
intatta, prima che venga distrutta da un incendio e dalle urgenze
dell’urbanistica. In questi ultimi anni la Fondazione Portaluppi e gli attuali
proprietari della casa hanno promosso una ricerca intorno al sito della vigna
di Leonardo. Scavando nell’area riconosciuta da Beltrami sono stati individuati
i camminamenti che regolavano i filari della vigna, seppelliti sotto le macerie
dei bombardamenti del 1943. Grazie al materiale organico ritrovato il professor
Attilio Scienza, massimo esperto di dna della vite, è riuscito a risalire al
dna del vitigno coltivato da Leonardo: la Malvasia di Candia Aromatica. Sulla
scorta di questi risultati, in fondo al giardino di Casa degli Atellani, nel
luogo in cui la riconobbe Luca Beltrami, nel rispetto del dna identificato del
vitigno e secondo i filari originari, nel 2015 è stata ripiantata, ed è rinata,
la vigna di Leonardo da Vinci.
Casa Degli Atellani
e La Vigna Di Leonardo
e La Vigna Di Leonardo
Corso Magenta n.65
Milano, Italia
Tel 024816150
Visitato il 06/03/2016
Nessun commento:
Posta un commento