Incontri: Roberto Vecchioni -Milano-
12 storie per raccontare “l’Infinito".
Location:
La Feltrinelli di Milano in piazza Piemonte.
Giorno:
venerdì 9 novembre dalle ore 18,30.
Evento:
presentazione e firma copie del nuovo album di inediti “l’infinito”.
Questi
i passi salienti del cantautore milanese alla presentazione.
"Sono
un uomo del '900", ha raccontato Roberto Vecchioni qualche giorno fa alla
presentazione di questo album: uno dei
grandi meriti del "professore" è di non far finta di essere qualcosa
che non è, e di fare (bene) solo quello che sa fa fare. Così questo è un disco
volutamente d'altri tempi, da uomo del '900 appunto. “Non dodici canzoni, ma
una sola lunghissima canzone divisa in dodici momenti".
E
per di più l'album uscirà solo in formato fisico, niente digitale "In
controtendenza al consumismo decontestualizzato e rapido dei brani".
Ascoltare
Vecchioni presentare il nuovo album dà la sensazione di essere ai banchi di
scuola, con il prof. che riesce a dare forma a personaggi e concetti
facendoceli sembrare vivi, nostri vicini di posto. Niente di accademico, per
carità, piuttosto l’insegnante che tutti avrebbero voluto avere in classe.
E
la vita che acquista spazio nelle dodici tracce de L’Infinito non è quella
patinata o sognata, quella desiderata, ma l’esistenza nella sua quotidiana dose
di dolore, rabbia, disperazione e (ogni tanto) anche qualche gioia. Ecco allora
Leopardi, di cui il cantautore riferisce: “Noi dobbiamo dire forte che amiamo
la nostra vita e quella degli altri. La vita è straordinaria nella sua
malignità e nella sua dolcezza.
E
non ci sono solo le suggestioni leopardiane in questo disco; ne L’Infinito di
Vecchioni, la rilettura investe anche quella forma d’arte novecentesca che
forse è la più vicina alla poesia. Ovvero, la canzone d’autore.
E
inoltre, solo uno come Vecchioni, poteva riuscire a convincere un grande della
canzone d’autore come Francesco Guccini a duettare nel brano 'Ti insegnerò a
volare'.
«È
stata una fatica immensa tirar fuori quell’orso della tana dopo sette anni che
non cantava» ha ammesso Vecchioni parlando di Guccini, conosciuto nel ’74 a
Sanremo, grazie al patron del Tenco Amilcare Rambaldi, in una giornata di
pioggia proprio come quella in cui l’ha ritrovato a Pavana. «Pioveva, entrai
all’Hotel des Etrangers e lo vidi nell’atrio, immenso, seduto in poltrona. Lui
mi disse: ho sentito una tua bella canzone, quella che parla dello stadio e
della partita di calcio. Stava sfottendo 'Luci a San Siro', così replicai:
anch’io ho sentito quella tua del trenino che va a spaccarsi e non è male».
Parlava, ovviamente, della 'Locomotiva'.
In
'L’infinito' Vecchioni aveva bisogno di Guccini. Voleva Guccini. «Perché lui è
un cantore, non un cantautore. Ci siamo conosciuti quel giorno di pioggia e non
ci siamo più lasciati. Così davanti a queste nuove canzoni mi sono detto:
adesso vado da quell’orso che se ne sta chiuso a fare un cazzo tutto il giorno,
mezzo addormentato e rincoglionito, perché in questa cosa ci deve essere pure
lui. Sono andato a casa sua e gli ho fatto sentire il disco. Lui, tipo Nero
Wolfe allargato sulla poltrona, ha sentito un’ora di musica senza fiatare.
Intanto io tremavo. Alla fine si è alzato, mi è venuto incontro e mi ha
abbracciato».
Il
Professore giura che 'Ti insegnerò a volare' è la sconfessione assoluta di Samarcanda.
«Dice: destino, ti batto quando voglio. Chi se ne fotte se non posso più
correre o camminare: imparerò a volare». Tutto lo spirito di Zanardi
nell’attimo in cui, col viso rigato di gioia, taglia vittorioso il traguardi
dei Giochi di Londra o di Rio.
L’album
(12 inediti, e in uno canta anche Morgan) si chiude con Parola, un’elegia sulla
scomparsa del linguaggio col dolore del bandolero tradito dai tempi. «Dieci
anni fa i ragazzi usavano 5mila vocaboli oggi solo 600, la nostra lingua sta
morendo». Un quadro in cui la canzone d’autore, la sua canzone d’autore, prova
ancora a recitare una parte. «Parlo dell’uomo di sempre, non di quello che
succede adesso. Proietto un piccolo momento nella vita di secoli e secoli della
persona umana. Non mi interessano la politichetta e le ovvietà», ma un cenno
più concreto al contesto attuale, durante la presentazione dell’album, spunta
quando parla di «quella gente che si chiude in casa con la pistola e non fa
arrivare gli immigrati».
Un
album di resistenza culturale, ma pure analogica. «Questo è un disco che si
compra nei negozi, non va nell’aria» dice infine Vecchioni rivendicando con
orgoglio la sua scelta d’indipendenza dal mercato tradizionale del disco fatta
con la complicità del produttore Danilo Mancuso. «Non possiamo continuare a
spezzettare le vite delle persone; una canzone alla volta. C’è un filo rosso
che lega queste dodici canzoni. Anzi, è una sola, lunghissima canzone divisa in
dodici momenti».
Piacevolissima
serata quella alla Feltrinelli: parecchio pubblico perché è sempre un piacere
sentire “il professore” , un poeta che dopo 5 anni di astinenza, ha sfornato un
disco eccellente.
In
questo album, Vecchioni ha estrapolato “la rabbia e la voglia di vivere”
insieme al bisogno da sempre umano di trovare l’infinito. Non al di là, ma al
di qua della siepe: dentro se stessi.
PS.
Qualche battuta sull’ Inter, comune fede calcistica, anche se ultimamente ci
confida che, per “troppi impegni”, non riesce più a seguirla a S. Siro come una
volta.
Alla
prossima Roberto…..!!!
Una dedica ad un cuore neroazzurro. |
Note
sull’album.
TRACKLIST
1.
Una notte, un viaggiatore
2.
Formidabili quegli anni –
3.
Ti insegnerò a volare (Alex)
4.
Giulio
5.
L’infinito
6.
Vai, ragazzo
7.
Ogni canzone d’amore
8.
Com’è lunga la notte
9.
Ma tu
10.
Cappuccio rosso
11.
Canzone del perdono
12.
Parola
-
Per "Una notte, un
viaggiatore" (1) ho preso come spunto il romanzo di Calvino dove le storie
cominciano e non si sa mai come vanno a finire. Si entra in una nebbia da cui
emergono fantasmi: un luogo-non luogo dove non si capisce nulla e nemmeno si sa
perché si è lì.Nella valigia, l'unico bagaglio che ci è stato concesso, si
nasconde il segreto ma la valigia non possiamo aprirla, possiamo solo
immaginare cosa ci sia dentro e averne una risposta emotiva.
-
"Formidabili quegli anni"
(2), è uno scippo a Mario Capanna, ma non è il '68 il vero protagonista. Non si
tratta neanche di nostalgie per ciò che è stato e non sarà.
Il '68 fa solo da sfondo, in
realtà parlo di com'ero io in quel periodo, dei sogni e delle speranze che
avevo. Perché per me non esiste un "c'è stato" o un "ci
sarà": il mio orologio è fermo in un continuo presente, quello della mia
anima e delle mie convinzioni.
-
Poi arriva "Ti insegnerò a
volare" (3) che è amore invincibile per ciò che si vive. È Alex Zanardi a
parlare, a ricordare, ed è lui che spiega come fare per rialzarsi. Ritorna il
"verosimile": sulle orme di "Itaca" di Costantino Kavafis,
Alex diventa maestro per dire ai ragazzi che la passione per la vita è più
forte del destino. Questo brano si specchia direttamente in quella che è stata
chiamata la "canzone d'autore" e che non c'è, non esiste più dagli
anni '70. In realtà l'intero disco è immerso in quella atmosfera perché là è
nato e successo tutto. Là tutto è stato come doveva essere, cioè immaginato, scritto
e cantato alla luce della cultura, semplice ed elementare oppure sottile e
sofisticata, ma comunque cultura. Forse per questo Francesco Guccini (che ho
fortemente voluto nel mio disco per quello che rappresenta, e lo ringrazio
ancora di esserci stato), ha scelto di cantare con me.
-
La storia di Giulio Regeni (4) è
rivissuta nell'illusione della madre che non può crederlo morto e lo racconta
con salti nel tempo, ora bambino, ora adolescente, ora uomo, sempre dolcemente
addormentato lì a casa sua.
-
"L'infinito" (5) è solo in
parte un disco autobiografico; dentro si muovono altri uomini e donne reali,
che a volte si raccontano, a volte sono raccontati nel loro straordinario amore
per ciò che si vive.
-
"Vai, ragazzo" (6) è un inno
alla mia malcelata passione per gli studi classici ed è anche una specie di
endorsement: continuo a pensare che aiutino a tracciare una linea di confine
tra vivere la vita o transitarci dentro e basta.
-
"Ogni canzone d'amore" (7) è
un madrigale di una semplicità assoluta: mi divertiva l'idea che tutti i poeti
del mondo, senza saperlo, avessero scritto d'amore per mia moglie.
-
In "Com'è lunga la notte" (8)
parlo di me a balzi nel tempo. L'ultima strofa è in terza persona, come se mi
guardassi dal fuori, e allora a cantarla è il mio amico Morgan (che stimo e
ringrazio).
-
L'altra canzone d'amore "Ma
tu" (9), è su due piani e due tempi che s'intersecano, e due sono le
donne: la prima e l'ultima. Enorme è la differenza tra un sentimento profondo e
l'immagine di un sentimento ma entrambe hanno un loro posto nel cuore.
-
La passione di Ayse, Cappuccio Rosso
(10), che va a morire contro l'ISIS è ripercorsa da lei stessa in
un'immaginaria lettera dal fronte al suo amore. Niente di epico, tutto
semplicemente umano. Ricorrere al "verosimile" mi affranca da
descrizioni didascaliche e mi fa sentire in parte Regeni e Cappuccio Rosso.
-
La canzone del Perdono" (11) è un
piccolo omaggio a Papa Francesco, (che non è mai citato, ma forse si capisce),
quasi una nota a piè di pagina della mia vecchia "Stazione di Zima".
Se mi si fa notare che chi crede nel Cielo perdona, rispondo che perdona anche
chi ama il mondo.
-
"Parola" (12) è un'elegia
sulla morte del linguaggio, l'unico brano apparentemente fuori tema. Ma nella
sua malinconia impotente, il finalino felliniano è messo lì a dire che la
speranza non muore. Però tutto questo è venuto dopo. Prima c'è stato Leopardi.
Anche se sembra che sia l'ultimo a cui pensare per dimostrarmi e mostrare
quello che sentivo. E invece è stato il primo, perché lo sapevo, lo sapevo da
anni. Mi è sempre piaciuto credere che Leopardi non odiasse la vita, ma
piuttosto che fosse vero l'inverso e che la sua disperazione, la sua rabbia, il
suo sarcasmo fossero reazioni di un amante tradito. E quando è a Napoli, nei
suoi ultimi anni, è un altro. Non che cambi le sue idee, no, pessimista era e
pessimista resta, ma è come se all'improvviso fosse stanco del dolore, come se
chiedesse una tregua al mondo, tanto che nel suo canto finale "Il tramonto
della Luna" fa addirittura splendere il sole in cielo. Mentre se ne va lo
sfiora forse il pensiero che vivere sia dare tutto quello che si ha dentro,
come la ginestra col suo profumo, e che l'infinito non sia al di là della siepe
ma al di qua, in noi.
L’album
è stato registrato con la collaborazione di Lucio Fabbri (produzione artistica,
pianoforte, piano elettrico, organo Hammond, violino, viola, fisarmonica, basso elettrico e
chitarra elettrica), Massimo Germini (chitarra classica e acustica, chitarra 12
corde, mandolino, bouzouki, ukulele, liuto cantabile), Marco Mangelli (basso
fretless) e Roberto Gualdi (batteria e percussioni).
Per
il tour bisognerà attendere la prossima primavera, a Milano il 15 maggio agli
Arcimboldi.
PS. Alcune foto sono tratte dalla rete
Incontri: Roberto Vecchioni
c/o La Feltrinelli
Piazza Piemonte
Milano
Incontro del 09/11/2018
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