13 novembre 2018

508-Incontri: Roberto Vecchioni -Milano-



Incontri: Roberto Vecchioni  -Milano-


12 storie per raccontare “l’Infinito".

Location: La Feltrinelli di Milano in piazza Piemonte.
Giorno: venerdì 9 novembre dalle ore 18,30.
Evento: presentazione e firma copie del nuovo album di inediti “l’infinito”.

Questi i passi salienti del cantautore milanese alla presentazione.




"Sono un uomo del '900", ha raccontato Roberto Vecchioni qualche giorno fa alla presentazione di questo album:  uno dei grandi meriti del "professore" è di non far finta di essere qualcosa che non è, e di fare (bene) solo quello che sa fa fare. Così questo è un disco volutamente d'altri tempi, da uomo del '900 appunto. “Non dodici canzoni, ma una sola lunghissima canzone divisa in dodici momenti".
E per di più l'album uscirà solo in formato fisico, niente digitale "In controtendenza al consumismo decontestualizzato e rapido dei brani".
Ascoltare Vecchioni presentare il nuovo album dà la sensazione di essere ai banchi di scuola, con il prof. che riesce a dare forma a personaggi e concetti facendoceli sembrare vivi, nostri vicini di posto. Niente di accademico, per carità, piuttosto l’insegnante che tutti avrebbero voluto avere in classe.


E la vita che acquista spazio nelle dodici tracce de L’Infinito non è quella patinata o sognata, quella desiderata, ma l’esistenza nella sua quotidiana dose di dolore, rabbia, disperazione e (ogni tanto) anche qualche gioia. Ecco allora Leopardi, di cui il cantautore riferisce: “Noi dobbiamo dire forte che amiamo la nostra vita e quella degli altri. La vita è straordinaria nella sua malignità e nella sua dolcezza.
E non ci sono solo le suggestioni leopardiane in questo disco; ne L’Infinito di Vecchioni, la rilettura investe anche quella forma d’arte novecentesca che forse è la più vicina alla poesia. Ovvero, la canzone d’autore.
E inoltre, solo uno come Vecchioni, poteva riuscire a convincere un grande della canzone d’autore come Francesco Guccini a duettare nel brano 'Ti insegnerò a volare'.





«È stata una fatica immensa tirar fuori quell’orso della tana dopo sette anni che non cantava» ha ammesso Vecchioni parlando di Guccini, conosciuto nel ’74 a Sanremo, grazie al patron del Tenco Amilcare Rambaldi, in una giornata di pioggia proprio come quella in cui l’ha ritrovato a Pavana. «Pioveva, entrai all’Hotel des Etrangers e lo vidi nell’atrio, immenso, seduto in poltrona. Lui mi disse: ho sentito una tua bella canzone, quella che parla dello stadio e della partita di calcio. Stava sfottendo 'Luci a San Siro', così replicai: anch’io ho sentito quella tua del trenino che va a spaccarsi e non è male». Parlava, ovviamente, della 'Locomotiva'.
In 'L’infinito' Vecchioni aveva bisogno di Guccini. Voleva Guccini. «Perché lui è un cantore, non un cantautore. Ci siamo conosciuti quel giorno di pioggia e non ci siamo più lasciati. Così davanti a queste nuove canzoni mi sono detto: adesso vado da quell’orso che se ne sta chiuso a fare un cazzo tutto il giorno, mezzo addormentato e rincoglionito, perché in questa cosa ci deve essere pure lui. Sono andato a casa sua e gli ho fatto sentire il disco. Lui, tipo Nero Wolfe allargato sulla poltrona, ha sentito un’ora di musica senza fiatare. Intanto io tremavo. Alla fine si è alzato, mi è venuto incontro e mi ha abbracciato». 
Il Professore giura che 'Ti insegnerò a volare' è la sconfessione assoluta di Samarcanda. «Dice: destino, ti batto quando voglio. Chi se ne fotte se non posso più correre o camminare: imparerò a volare». Tutto lo spirito di Zanardi nell’attimo in cui, col viso rigato di gioia, taglia vittorioso il traguardi dei Giochi di Londra o di Rio.





L’album (12 inediti, e in uno canta anche Morgan) si chiude con Parola, un’elegia sulla scomparsa del linguaggio col dolore del bandolero tradito dai tempi. «Dieci anni fa i ragazzi usavano 5mila vocaboli oggi solo 600, la nostra lingua sta morendo». Un quadro in cui la canzone d’autore, la sua canzone d’autore, prova ancora a recitare una parte. «Parlo dell’uomo di sempre, non di quello che succede adesso. Proietto un piccolo momento nella vita di secoli e secoli della persona umana. Non mi interessano la politichetta e le ovvietà», ma un cenno più concreto al contesto attuale, durante la presentazione dell’album, spunta quando parla di «quella gente che si chiude in casa con la pistola e non fa arrivare gli immigrati».
Un album di resistenza culturale, ma pure analogica. «Questo è un disco che si compra nei negozi, non va nell’aria» dice infine Vecchioni rivendicando con orgoglio la sua scelta d’indipendenza dal mercato tradizionale del disco fatta con la complicità del produttore Danilo Mancuso. «Non possiamo continuare a spezzettare le vite delle persone; una canzone alla volta. C’è un filo rosso che lega queste dodici canzoni. Anzi, è una sola, lunghissima canzone divisa in dodici momenti».
Piacevolissima serata quella alla Feltrinelli: parecchio pubblico perché è sempre un piacere sentire “il professore” , un poeta che dopo 5 anni di astinenza, ha sfornato un disco eccellente.



In questo album, Vecchioni ha estrapolato “la rabbia e la voglia di vivere” insieme al bisogno da sempre umano di trovare l’infinito. Non al di là, ma al di qua della siepe: dentro se stessi.




PS. Qualche battuta sull’ Inter, comune fede calcistica, anche se ultimamente ci confida che, per “troppi impegni”, non riesce più a seguirla a S. Siro come una volta.

Alla prossima Roberto…..!!!

Una dedica ad un cuore neroazzurro.


Note sull’album.


TRACKLIST

1. Una notte, un viaggiatore
2. Formidabili quegli anni –
3. Ti insegnerò a volare (Alex)
4. Giulio
5. L’infinito
6. Vai, ragazzo
7. Ogni canzone d’amore
8. Com’è lunga la notte
9. Ma tu
10. Cappuccio rosso
11. Canzone del perdono
12. Parola
-       Per "Una notte, un viaggiatore" (1) ho preso come spunto il romanzo di Calvino dove le storie cominciano e non si sa mai come vanno a finire. Si entra in una nebbia da cui emergono fantasmi: un luogo-non luogo dove non si capisce nulla e nemmeno si sa perché si è lì.Nella valigia, l'unico bagaglio che ci è stato concesso, si nasconde il segreto ma la valigia non possiamo aprirla, possiamo solo immaginare cosa ci sia dentro e averne una risposta emotiva.

-       "Formidabili quegli anni" (2), è uno scippo a Mario Capanna, ma non è il '68 il vero protagonista. Non si tratta neanche di nostalgie per ciò che è stato e non sarà.

Il '68 fa solo da sfondo, in realtà parlo di com'ero io in quel periodo, dei sogni e delle speranze che avevo. Perché per me non esiste un "c'è stato" o un "ci sarà": il mio orologio è fermo in un continuo presente, quello della mia anima e delle mie convinzioni.

-       Poi arriva "Ti insegnerò a volare" (3) che è amore invincibile per ciò che si vive. È Alex Zanardi a parlare, a ricordare, ed è lui che spiega come fare per rialzarsi. Ritorna il "verosimile": sulle orme di "Itaca" di Costantino Kavafis, Alex diventa maestro per dire ai ragazzi che la passione per la vita è più forte del destino. Questo brano si specchia direttamente in quella che è stata chiamata la "canzone d'autore" e che non c'è, non esiste più dagli anni '70. In realtà l'intero disco è immerso in quella atmosfera perché là è nato e successo tutto. Là tutto è stato come doveva essere, cioè immaginato, scritto e cantato alla luce della cultura, semplice ed elementare oppure sottile e sofisticata, ma comunque cultura. Forse per questo Francesco Guccini (che ho fortemente voluto nel mio disco per quello che rappresenta, e lo ringrazio ancora di esserci stato), ha scelto di cantare con me.

-       La storia di Giulio Regeni (4) è rivissuta nell'illusione della madre che non può crederlo morto e lo racconta con salti nel tempo, ora bambino, ora adolescente, ora uomo, sempre dolcemente addormentato lì a casa sua.

-       "L'infinito" (5) è solo in parte un disco autobiografico; dentro si muovono altri uomini e donne reali, che a volte si raccontano, a volte sono raccontati nel loro straordinario amore per ciò che si vive.

-       "Vai, ragazzo" (6) è un inno alla mia malcelata passione per gli studi classici ed è anche una specie di endorsement: continuo a pensare che aiutino a tracciare una linea di confine tra vivere la vita o transitarci dentro e basta.

-       "Ogni canzone d'amore" (7) è un madrigale di una semplicità assoluta: mi divertiva l'idea che tutti i poeti del mondo, senza saperlo, avessero scritto d'amore per mia moglie.

-       In "Com'è lunga la notte" (8) parlo di me a balzi nel tempo. L'ultima strofa è in terza persona, come se mi guardassi dal fuori, e allora a cantarla è il mio amico Morgan (che stimo e ringrazio).

-       L'altra canzone d'amore "Ma tu" (9), è su due piani e due tempi che s'intersecano, e due sono le donne: la prima e l'ultima. Enorme è la differenza tra un sentimento profondo e l'immagine di un sentimento ma entrambe hanno un loro posto nel cuore.

-       La passione di Ayse, Cappuccio Rosso (10), che va a morire contro l'ISIS è ripercorsa da lei stessa in un'immaginaria lettera dal fronte al suo amore. Niente di epico, tutto semplicemente umano. Ricorrere al "verosimile" mi affranca da descrizioni didascaliche e mi fa sentire in parte Regeni e Cappuccio Rosso.

-       La canzone del Perdono" (11) è un piccolo omaggio a Papa Francesco, (che non è mai citato, ma forse si capisce), quasi una nota a piè di pagina della mia vecchia "Stazione di Zima". Se mi si fa notare che chi crede nel Cielo perdona, rispondo che perdona anche chi ama il mondo.

-       "Parola" (12) è un'elegia sulla morte del linguaggio, l'unico brano apparentemente fuori tema. Ma nella sua malinconia impotente, il finalino felliniano è messo lì a dire che la speranza non muore. Però tutto questo è venuto dopo. Prima c'è stato Leopardi. Anche se sembra che sia l'ultimo a cui pensare per dimostrarmi e mostrare quello che sentivo. E invece è stato il primo, perché lo sapevo, lo sapevo da anni. Mi è sempre piaciuto credere che Leopardi non odiasse la vita, ma piuttosto che fosse vero l'inverso e che la sua disperazione, la sua rabbia, il suo sarcasmo fossero reazioni di un amante tradito. E quando è a Napoli, nei suoi ultimi anni, è un altro. Non che cambi le sue idee, no, pessimista era e pessimista resta, ma è come se all'improvviso fosse stanco del dolore, come se chiedesse una tregua al mondo, tanto che nel suo canto finale "Il tramonto della Luna" fa addirittura splendere il sole in cielo. Mentre se ne va lo sfiora forse il pensiero che vivere sia dare tutto quello che si ha dentro, come la ginestra col suo profumo, e che l'infinito non sia al di là della siepe ma al di qua, in noi.

L’album è stato registrato con la collaborazione di Lucio Fabbri (produzione artistica, pianoforte, piano elettrico, organo Hammond, violino,  viola, fisarmonica, basso elettrico e chitarra elettrica), Massimo Germini (chitarra classica e acustica, chitarra 12 corde, mandolino, bouzouki, ukulele, liuto cantabile), Marco Mangelli (basso fretless) e Roberto Gualdi (batteria e percussioni).

Per il tour bisognerà attendere la prossima primavera, a Milano il 15 maggio agli Arcimboldi.

PS. Alcune foto sono tratte dalla rete



Incontri: Roberto Vecchioni  
c/o La Feltrinelli
Piazza Piemonte
Milano


Incontro del  09/11/2018

Nessun commento:

Posta un commento