Ricordo di Gualtiero Marchesi -Milano -MI-
Un omaggio e un ricordo al grande Maestro della cucina Italiana.
È difficile separarsi da un Maestro, ancora di più se ha lasciato dei segni indelebili.
L’idea di scrivere questo post mi è venuta passeggiando per via Bonvesin de la Riva a Milano, luogo che ha senza dubbio avuto a che fare con il Maestro: questo l’ indirizzo del suo primo ristorante, a poche decine di metri la sua casa di residenza in via Marcona.
Si avvicina il secondo anniversario della scomparsa del grande Chef (Milano, 19 marzo 1930 – Milano, 26 dicembre 2017) avvenuta ad 87 anni: Lui non c’è più ma ha lasciato un ricordo indelebile anche con opere che la sua fondazione continua nel tempo.
Come dicevo via Bonvesin de la Riva è un indirizzo che a Milano parla da sé e racconta una grande storia della Cucina Italiana che non vuole rimanere confinata nel passato.
Gualtiero Marchesi torna nella stradina dove nel 1977 aveva aperto il suo primo ristorante.
Non riaccende i fornelli, però: in Bonvensin de la Riva 5 (un paio di case prima del mitico civico 9) apre la sua Accademia Marchesi, per “cuochi compositori”. Perché la cucina è un’arte e il Maestro, da vero cultore di musica e pittura, le dedica uno spazio a 360°, dove il cibo è protagonista tra quadri, sculture e concerti, al centro di un ricco calendario di incontri culturali.
Un luogo di pensiero e una scuola dove tramandare il sapere gastronomico. Non solo a chef professionisti, come già ha fatto con le brigate tirate su nei decenni (è stato maestro di Antonio Ghilardi, Ernst Knam, Karsten Heidsick, Lucia Pavin, Alessandro Breda, Andrea Berton, Paola Budel, Pietro Leemann, Paolo Lopriore, Michel Magada, Vittorio Beltramelli, Marco Soldati, Antonio Poli, Davide Oldani, Daniel Canzian e altri grandi nomi) o con gli allievi di Alma, di cui è stato rettore dal 2004, ma anche a chi, partendo da diversi livelli di base, vuole approfondire e sperimentare. Bambini compresi, cui sono rivolti speciali eventi: giocando a cucinare insieme alla mamma (le 20 postazioni hanno gambe telescopiche regolabili sull’altezza dell’allievo), si imparano i principi della corretta alimentazione, in collaborazione con la Fondazione Veronesi.
Dai primi passi alle vette della creatività: i livelli più alti dei corsi sono rivolti a chef che vogliono perfezionare il loro percorso e aggiornarsi su nuove tecniche e tendenze. «La cucina non è un fine, è un mezzo. È uno dei linguaggi con cui parlare a se stessi e al mondo – spiegava Marchesi – e per raggiungere questa dimensione, bisogna passare dalla condizione, imprescindibile, di esecutore a quella più indefinibile e profonda di compositore».
E senza dimenticare anche il “buon senso”, che va di pari passo con il “buon gusto”: la mia cucina si fonda su idee e semplicità», raccontava il Maestro degli chef.
Ma guai a chiamarlo “Chef”: a 87 anni compiuti, una vita con la toque in testa e tre stelle Michelin rispedite al mittente, Marchesi era e voleva restare un “Cuoco”.
Insomma onore al “Cuoco”, maestro vero di pensiero oltre che di cucina……!!!!!
A seguire la storia del Maestro:
Nato a Milano nel 1930, Marchesi ha il primo approccio con la gastronomia ancora giovanissimo, nella cucina dell'albergo «Mercato» di proprietà dei genitori. La sua formazione professionale inizia al Kulm di St. Moritz e alla scuola alberghiera di Lucerna in Svizzera. Tornato in Italia lavora all'albergo «Mercato» dove propone una cucina d'avanguardia che attinge ai testi classici. Successivamente perfeziona le sue tecniche in alcuni dei migliori ristoranti francesi quali il «Ledoyen» a Parigi, «Le Chapeau Rouge» a Digione e il ristorante dei fratelli Troisgros a Roanne. Tornato in Italia nel 1977, inaugura a Milano il suo ristorante di via Bonvesin de la Riva riscuotendo un immediato successo: una stella della guida Michelin, due stelle nel 1978. Le migliori guide lo propongono ai vertici della ristorazione e nel 1985 la Michelin, per la prima volta in Italia, attribuisce al suo ristorante le tre stelle.
È nell'arco degli anni Ottanta che esplode tutta la creatività di Marchesi. Nessun ambito è escluso: dalle pentole ai piatti, alle posate, ai bicchieri, alle tovaglie fino a progettare e a realizzare una cucina avveniristica. Si afferma il progetto di una cucina totale, modellata sul contenuto e il contenitore, il cibo, la tavola e il servizio. Nel 1986 viene insignito «Cavaliere della Repubblica» e nello stesso anno gli viene consegnato l'Ambrogino d'Oro. Nel 1989, primo in Italia, riceve il premio internazionale «Personnalité de l'année» per la gastronomia. Nel 1990 viene fregiato dal Ministro della Cultura e della Comunicazione Francese Jack Lang, dell'onorificenza di «Chevalier dans l'ordre des Arts et des Lettres».
Negli anni Novanta, l'attenzione di Marchesi si sposta verso i nuovi modelli di ristorazione: apre un bistrot, un brunch e un caffè sul tetto del Duomo al settimo piano della Rinascente di Milano e a Londra, un Ristorante Gualtiero Marchesi all'interno dell'Hotel Halkin. Una svolta importante arriva nel 1993, quando decide di lasciare Milano e ritirarsi in Franciacorta, creando il Relais & Chateaux L'Albereta di Gualtiero Marchesi.
Passano pochi anni e, attratto dalle nuove tecnologie, nel 1998, progetta un negozio per la vendita di piatti pronti sottovuoto a due passi da via Montenapoleone. Nel triennio 2000-2002 Gualtiero Marchesi viene eletto Presidente dell'Euro-Toques International, associazione che raccoglie quasi 3.000 Chef di altissimo livello in Europa.
Il nuovo millennio è segnato da un turbine di iniziative: apre a Parigi, in Place Vendôme, il ristorante Gualtiero Marchesi per il Lotti che ottiene dopo appena un anno la stella Michelin e l'anno dopo restaura il più antico ristorante di Roma, l'Hostaria dell'Orso, ottenendo anche lì una stella, a un anno dall'apertura. Un'estrema curiosità lo porta a esplorare il mondo delle crociere, aprendo due ristoranti a bordo delle ammiraglie della Costa Crociere. Dopo aver ricevuto, nel 1998 il glorioso Premio Artusi, nel 2002 l'Accademia Internazionale della Gastronomia gli conferisce il Grand Prix «Mémoire et Gratitude», il premio più importante dato dall'Accademia allo chef che nella storia ha lasciato un segno, durante una cerimonia storica a Lione, con altri grandi chef della gastronomia internazionale. Non si tratta del solo riconoscimento di tale prestigio: nel gennaio 2009 Marchesi riceverà a Madrid il Grembiule d'oro insieme ad altri dieci cuochi internazionali che hanno influenzato la cucina dell'ultimo decennio.
Nel gennaio 2004 apre Alma, Scuola Internazionale di Cucina Italiana nel Palazzo Ducale di Colorno, a pochi chilometri da Parma, che annovera tra i suoi insegnanti alcuni degli chef più rappresentativi della cultura gastronomica italiana. Nel 2008, avverte il bisogno di riavvicinarsi alla sua città natale: nasce il ristorante Teatro alla Scala Il Marchesino, il suo omaggio alla musica, alla famiglia e alla città. A questo punto, non avendo più nulla da dimostrare, sceglie di non voler essere più giudicato da nessuna guida, restituendo le stelle Michelin. Nominato dal ministro del Turismo Ambasciatore della cucina italiana nel mondo, Marchesi, in occasione dell'ottantesimo compleanno, crea una Fondazione che ha come missione l'approfondimento e diffusione di tutte le arti.
Il 18 giugno 2014 inaugura l'Accademia Gualtiero Marchesi in via Bonvesin de la Riva, mentre nel 2015 viene nominato Chef Ambassador di Expo 2015 e riporta il Ristorante Marchesi a Milano all'interno del suo Marchesino in piazza della Scala. Nel maggio 2017 viene presentato in anteprima al Festival di Cannes il film documentario sulla sua vita intitolato 'Marchesi: The Great Italian'. Il film sarà presentato in prima mondiale il 16 ottobre a New York durante il Congresso de Les Grandes Tables du Monde. Nel luglio 2017 annuncia che sorgerà a Varese nel 2018 la «Casa di riposo per cuochi», progetto fortemente voluto su ispirazione della «Casa di riposo per musicisti Giuseppe Verdi» ( Andrà mai a buon fine….!!!!).
L'amore per l'arte e la Mostra al Castello Sforzesco.
Gualtiero Marchesi fu per tutta la vita un appassionato d'arte. Già nei suoi primi anni di attività conobbe Aldo Calvi, pittore e poeta, che rafforzò il suo amore per l'arte in modo definitivo. In quegli anni incontrò per la prima volta anche sua moglie, musicista e futura maestra di Gualtiero nell'arte sonora. Il giovane Gualtiero ebbe a dire: «Smetto di suonare perché devo creare una cucina nuova, inconcepibile per il nostro paese; è ora di rivoluzionare le portate, la presentazione, la carta dei vini. Questo è un momento fondamentale, è la rivoluzione culinaria postmusicale!».
Nella primavera del 2010 si inaugurò a Milano, al Castello Sforzesco, una mostra a lui dedicata, che ripercorreva i passi e i momenti della sua esperienza, fra arte, cucina e successo internazionale, coronante il percorso di un ispiratore di tutti gli chef italiani di oggi.
Io ho avuto il piacere di incontrare il Maestro e di dialogare con Lui proprio grazie all’Arte durante una visita alla storica Fornace Curti di Milano: un incontro di cui porto e porterò per sempre un ricordo indelebile oltre al piacere di avere conosciuto una persona di una intelligenza e una cultura fuori dalla norma.
E per concludere: Gualtiero Marchesi, semplicemente il più grande !
PS. Alcune immagini sono tratte dalla rete.
Grandi
della cucina
24 dicembre 2019
24 dicembre 2019
Due anni senza Gualtiero Marchesi, la sua eredità culinaria nelle parole di chi lo ha conosciuto.
Nel pomeriggio di Santo Stefano del 2017 ci lasciava colui che ha cambiato il volto della cucina italiana e cresciuto intere generazioni di cuochi. Da Carlo Cracco a Davide Oldani e tanti altri collaboratori, ecco come lo ricorda chi ha avuto la fortuna di lavorarci insieme
Con una foglia d’oro appoggiata sul riso alla milanese, con una seppia bianchissima in campo nero, aprendo un raviolo che la tradizione voleva chiuso, adagiando una cucchiaiata di caviale su un piatto di spaghetti freddi cosparsi di erba cipollina il signor Marchesi ha cambiato per sempre il corso della cucina italiana, conquistando con il suo locale in Bonvesin de la Riva - primo in Italia - le tre stelle Michelin, il trofeo più ambito del mondo in ambito gastronomico, ma soprattutto cambiando la visione che il mondo aveva della nostra cucina. Ha cresciuto intere generazioni di cuochi e formato tutto il mondo della cucina che è venuto dopo di lui, lasciando un’impronta forte, netta e creando un movimento che ha permesso ai cuochi di diventare quello che sono oggi.
Chi ha lavorato per lui non può
non averne memoria: essere al suo fianco significava entrare in sintonia e in
contatto con un autentico genio. E quando si avvicina il Natale, per tutti i
Marchesi boys, il ricordo si fa più vivido. È mancato nel pomeriggio di Santo
Stefano, due anni fa, e la notizia ha fatto presto il giro del mondo, con tutti
i più grandi chef che si sono uniti al cordoglio della famiglia. Oggi, per
ricordare il grande Maestro della cucina italiana, abbiamo chiesto ad alcune
delle persone che hanno condiviso un tratto di strada con lui, qual è il più grande insegnamento, l’eredità personale che
ha lasciato loro il signor Marchesi.
Sicuri che attraverso le parole di chi ha potuto conoscerlo
da vicino, si possano delineare il carattere e la personalità, il carisma, del
personaggio che più di ogni altro ha cambiato il corso della nostra cucina. E
che ancora oggi incide sulle scelte e sui pensieri di molti dei più grandi chef
del nostro Paese, che da lui sono passati e con lui hanno iniziato il loro
percorso professionale.
Lidia
Moraschi, assistente del signor Marchesi dal 2007 al 2018
«Il signor Marchesi era un vero
signore, mi ha insegnato prima di tutto il grande rispetto. Rispetto e umiltà che, nonostante la sua grande
fama, lo hanno sempre preceduto. Ricordo che ogni mattina arrivava in ufficio
come un uragano con un’idea nuova e ogni mattina mi chiedevo dove trovasse
tutta quella energia. Rivedo il suo genio ogni volta che si parla di cucina e ritengo
che avesse, molti anni fa, espresso concetti che ancora oggi risuonano come
nuovi. Aveva già, nella sua testa, delle idee futuristiche che allora
sembravano fuori dal tempo ma che oggi ritrovo quantomai attuali e ancora
avveniristiche».
Sara
Vitali, editrice, che per lui ha gestito le relazioni con la stampa
«Gualtiero è la curiosità.
Un’intelligenza vivace, un cane da tartufo sempre alla ricerca del nuovo,
pronto ad ogni esperienza. Il lancio con il paracadute racconta la sua indole
più di ogni altra sua “acrobazia”. L’insegnamento? Non
esiste un punto di arrivo».
Andrea
Berton, Chef Ristorante Berton, in Albereta dall’89 al 92, dal 96 al 98 e
executive chef dal 2000 fino al 2004
«L’eredità per me è quella di
aver dato un segnale forte nel cambiamento della cucina italiana: Marchesi ha
fatto capire a tutti che cos’era questo mestiere. Ha insegnato l’importanza che
devono avere gli ingredienti, cosa che prima di lui non era così evidente. Ma
anche l’importanza di cercare sempre di migliorarsi e confrontarsi con realtà
diverse da quello che è il tuo mondo. Il confronto
con altre realtà, con altri mondi che ti possono dare un qualcosa in più
e aiutarti a migliorare il piatto che stai facendo. Un altro punto fisso per me
è stato non pasticciare i piatti: usare pochi ingredienti ma ben definiti».
Carlo
Cracco, Ristorante Cracco, chef dal 1986 in Bonvesin de la Riva e executive
chef all’Albereta
«Per me la più grande eredità di
Gualtiero Marchesi è stata la grande apertura mentale. La cosa che mi colpiva
di più in lui era il suo non porsi mai limiti nella
cucina, e questo gli ha permesso di fare la rivoluzione che ha fatto. La
cosa che invece mi faceva sorridere e riflettere è il contrasto tra
l’avanguardia che costituiva la sua cucina e il grande amore che aveva per la
tradizione nella sua vita normale. Frequentava osterie e trattorie, che erano i
suoi veri ristoranti del cuore. Nel nostro giorno di chiusura portava tutti i
ragazzi della brigata a mangiare i piatti della tradizione, quelli che amava di
più. Questa dicotomia estrema tra la sua creatività e questo amore per la
cucina tradizionale mi ha sempre colpito».
Davide
Oldani, chef D’O, in Bovesin de la Riva dal 1986 al 1998
«Mi
presentai da Marchesi praticamente in calzoncini corti, ero un bimbo. Andai con
mio padre e mi rimase impressa una frase che lui disse a mio padre: “Questi
giovani sono come delle spugne, adesso si impregnano e un giorno rilasceranno”.
Questa frase la porto dentro di me da allora e la ripeto ai miei ragazzi: il fattore umano è la cosa fondamentale, quando c’è
quello è tutto risolto».
Daniel
Canzian, chef ristorante Daniel, chef al Marchesino dal 2005 al 2013
«Il signor Marchesi ha lasciato
un’eredità che singolarmente ciascuno di noi ha sviluppato secondo la sua personalità.
Tantissimi sono passati da lui: tra quelli che hanno fatto un grande percorso,
seppure ciascuno abbia la sua personalità e il suo carattere, c’è un fil rouge
che credo unisca le persone che si sono avvicendate nelle sue cucine. Ciascuno
ha il suo carattere e la sua identità professionale ma tutti - mi ci metto
anch’io in questo gruppo - siamo uniti da un’estetica,
una linearità, una semplicità. C’è pulizia e logica nei nostri piatti. Se
in tante altre figure di cuochi vedi piatti che vanno e vengono, per chi ha
lavorato tanto con lui il piatto rimane fissato nel tempo. Non voglio vedere la
sua eredità nei suoi piatti simbolo, diceva sempre che i piatti vivono finché
li cucini, ma in un passaggio di testimone di pensiero, nella riconoscibilità dei
piatti che chi lo ha seguito crea. È una sorta di marchio di fabbrica. Sta a
noi fare in modo che la cucina italiana si evolva partendo da lì. Ho avuto la
fortuna di vivere la sua completa maturità: oggi cerco di portare avanti una
cucina italiana elegante, un pensiero all’avanguardia già per lui, una cucina
in una veste futura».
Pietro
Leemann, chef Joya, in Bonvesin de la Riva nel 1984 al 1988
«Il
mio mentore, amico, cuoco artista Gualtiero Marchesi ha lasciato un vuoto
difficilmente colmabile. Nella sua posizione riusciva a esprimere sempre quello
che pensava, difendendo il valore della cucina autentica, quella fatta dei
migliori cibi preparati con maestria. Lo rammento spesso e mi manca, sento
anche una grande responsabilità nel portare avanti i suoi valori senza tempo».
Riccardo
Camanini, chef Lido 84, in Albereta dal 1993 al 1997
«Devo al signor Marchesi tutta
la mia carriera: questo è indubbio, lo dico spesso. È stata la prima vera
esperienza accademica che ho avuto: sono arrivato da lui quando avevo 18 anni,
dopo quattro anni passati in ristoranti ‘normali’ e nel ’93 all’Albereta mi si
è aperto un mondo completamente diverso di intendere
la cucina, con un’organizzazione accademica, una grande brigata gestita
con i canoni classici di impronta francese. Questa esperienza mi ha permesso di
avere le prime chiavi di lettura per intraprendere una carriera di artigiano
professionista».
Ernst
Knam, pasticcere, in Bonvesin de la Riva dal 1989 al 1992
«Gualtiero Marchesi mi ha
insegnato prima di tutto una filosofia di cucina: nel corso degli anni non
abbiamo mai smesso di confrontarci, è sempre stato un punto di riferimento per
me, ma anche per il mondo della cucina nazionale e internazionale. Di lui mi
ricordo grandi piatti ma soprattutto importanti insegnamenti. Uno su tutti: togliere, non aggiungere. L’uso delle materie
prime, il saper esaltare gli ingredienti e il giusto equilibrio di sapori
piuttosto che perdersi in esercizi di stile sono delle linee guida che tuttora
porto avanti nell’elaborazione e sviluppo del mio concetto di pasticceria».
Fabio
Zago, docente presso l’Accademia Marchesi
«Ho
sognato fin da ragazzino e aiuto cuoco alle prime esperienze di lavoro di poter
un giorno lavorare per e magari con il signor Marchesi. Ho iniziato a lavorare
alla fine degli anni ’70, proprio quando lui apriva in Bonvesin de la Riva, a
Milano, il ristorante che avrebbe conquistato, primo in Italia, le tre stelle
Michelin. In quel mitico luogo si è fatta la rivoluzione gastronomica italiana:
tutto è cambiato. Nel 2014 ho iniziato a lavorare per Accademia Marchesi, come
cuoco, che scrivere chef non si può, perché il signor Marchesi detestava questa
definizione: “capo di cosa?” ripeteva. Sono rimasto fino alla fine e ancora
continuo a lavorare per Accademia e Fondazione, il mio sogno si è avverato, ho
lavorato per lui e con lui. Del signor Marchesi mi rimane il ricordo della sua
grande umanità e generosità e del suo rigore professionale. Ancora di più mi
rimane in testa l’idea che non bisogna mai smettere di essere curiosi e non
bisogna mai smettere di sostenere con rigore un’idea: l’assoluto rispetto della
materia e la semplicità come massima espressione della bontà e della bellezza».
Klaus
Karsten Heidsiek, chef per 8 anni in Bonvesin de la Riva
«Quando sono arrivato a Milano
per lavorare con Gualtiero Marchesi mi sono subito sentito coinvolto dal suo
carisma e dalla sua personalità. Ho lavorato con altri ma nessuno aveva la sua
umiltà e la sua conoscenza. Mi ha insegnato molte cose al di fuori della
cucina: abbiamo parlato di musica, opera, letteratura, cinema. Abbiamo fatto il
giro del mondo insieme negli anni ’80: adesso è normale ma allora era
rivoluzionario. Ha sempre avuto una grande
curiosità: si era formato stando a contatto con gli artisti, non in
cucina con i cuochi, e faceva ciò che gli piaceva, senza guardare gli altri. Mi
ha cambiato la vita, nel lavoro e nel pensiero».
Massimiliano
Aresi, chef Le quattro terre, capo partita e poi sous chef dal 2001 al 2010 in
Albereta
«Il
signor Marchesi mi ha sempre sorpreso per la sua capacità di osservare. Mi ha
fatto notare la differenza tra guardare e vedere, sapeva trarre dalla
quotidianità una continua ispirazione che si trattasse del banale cartello
stradale o del quadro di Pollock. Il cartello stradale di “fine divieto” così è
diventato un risotto alla parmigiana con una spennellata (aveva un pennello
morbidissimo di piume di gallo) di nero di seppia. Vedere oltre e osservare da
un'altra prospettiva è un obiettivo che mi impongo da quando l’ho incontrato».
Fabrizio
Molteni, chef per il gruppo Marchesi per 13 anni, dal 2001 al Lotti a Parigi,
all’Hostaria dell’Orso a Roma, a Cannes e fino al 2011 all’Albereta di Erbusco
«Al
signor Marchesi piaceva molto raccontare come sua madre dirigesse i suoi
sottoposti con “dolce fermezza” e così anche lui nelle sue direttive non ha mai
mancato di rispetto a nessuno dei suoi collaboratori. Tutto nasce dal rispetto,
della persona, delle persone con le quali collabori, della tua professione, dei
clienti in sala… per poi arrivare al rispetto della
materia prima che è una naturale conseguenza di quello che ci ha
insegnato. Oggigiorno con l’evoluzione che sta subendo la cucina in termini di
ritmi, utilizzo degli ingredienti, tecniche e abitudini questo credo possa
essere il consiglio e il lascito più grande da tramandare alle nuove
generazioni di cuochi che dovranno partire da qui per poi creare la propria
identità e intraprendere la strada più consona, sulle orme lasciate dal
Maestro. Per concludere con una citazione alla “Maestro Style”: “Il
maestro si limita a «muovere», a stimolare il discepolo e il discepolo solo se
risponde a questo stimolo – sia durante che dopo l’esposizione del maestro –
arriva ad un vero apprendimento”. Tommaso d’Aquino».
Brendan
Becht, Zaza Ramen, in Bonvesin de la Riva 1991/92 e per le Idee dal 1993 al
1997
«“È
veramente noioso vivere senza idee”, scriveva l'artista Lucio
Fontana sul retro di una delle sue tele "Concetto Spaziale”.
Ricordo Gualtiero Marchesi come l'uomo delle idee; in cucina, sull'arte, sulla
vita. Aveva addirittura chiamato la sua società di consulenza "Le Idee di
Gualtiero Marchesi”. Trasformava la sua fame di conoscenza e la sua sete di
sapere in idee per piatti nuovi. Marchesi scriveva, su piccoli biglietti o nel
suo quaderno, dei pensieri e delle frasi presi da filosofi, artisti, musicisti
e scrittori. Spesso, durante i nostri viaggi in giro per il mondo promuovendo
la sua cucina, mi leggeva queste frasi. Ogni volta che cambiavo mostra nel mio
ristorante, Gualtiero veniva all'inaugurazione per incontrare l'artista e
assaggiare una ciotola di ramen. Mi manca, penso a lui molto spesso, era un
vero maestro e lo consideravo un po’ come un secondo padre. Avrei tanto voluto
fargli vedere la mostra che ospito attualmente da Zazà Ramen, dove ci sono le
parole scritte da Lucio Fontana riportate dall'artista Marco Andrea Magni con
matita ceramica su una serie di piatti. Marchesi aveva conosciuto Fontana negli
anni 60 come cliente del "Mercato”, il ristorante-albergo di famiglia.
Penso che questa mostra gli sarebbe piaciuta, dove la parola diventa momento
condiviso di piaceri conviviali».
Elio
Sironi, chef Ceresio 7, in Bonvesin de la Riva nel 1986/87
«Marchesi
era ed è per me una sorta di faro che si illumina ogni volta che rifletto sui
suoi insegnamenti. Con lui, ancora in Bonvesin de la Riva, mi ero reso conto
che la cucina non era solo lo spazio fisico dove si prepara il cibo ma anche un
sistema culturale con le sue regole, i suoi piaceri, le sue convenzioni. Mi
rendevo conto parlando con lui che il cibo era esperienza nel mondo, ricerca e
creazione di ricchezza e varietà di sapori e soprattutto il cibo è cultura. Si
parla degli anni 80, quando ancora si faceva fatica a considerare il mestiere
del cuoco una professione. Lavorare in Bonvesin era motivo di orgoglio e di
fierezza. Ricordo benissimo la sua predica quotidiana: una citazione di
Toulouse-Lautrec che amava e amavamo tutti: “In
ogni arte la grande raffinatezza è sintesi e semplicità”. Se
vogliamo, è il contemporaneo di oggi. Evviva il Maestro!».
Silvano
Prada, Four Seasons, dal 1982 al 1987 capo partita e poi executive chef per
consulenze a Verona e Abano Terme
«Il Signor Marchesi, umanamente
parlando, per me è stato un vero maestro, sia
di vita che professionale, a lui devo tutto, e non è retorica. Con lui c'era
molto feeling, gli bastava spiegarmi verbalmente il nuovo piatto e dopo che
l'avevo eseguito, da parte sua non c'erano quasi mai ritocchi, sia di gusto che
di presentazione, inoltre in me aveva sempre un'enorme fiducia. La sua eredità
per me è che, ancora oggi, ogni volta che devo eseguire uno nuovo piatto o
preparare un nuovo menù, penso sempre ai suoi insegnamenti. Il Signor Marchesi
in me è sempre presente».
Marco
Cozza, chef di Rose Salò, da stagista a capopartita a L’Albereta
«Ho
un bellissimo ricordo del maestro Marchesi. Sicuramente perché è stata la prima
esperienza formativa nell'alta cucina, e quindi il punto di partenza per tutto.
La cosa che mi ha colpito di più di Marchesi è stata la cultura, con lui era
quasi come se la cucina fosse un contorno, l'uomo veniva prima di tutto, veniva
prima del cuoco. C'è un aneddoto che vorrei raccontare, che tra l'altro è molto
personale. Il primo anno in cucina, avevo solo 15 anni, ero alla mia primissima
esperienza ed avevo paura anche della mia ombra. Dopo un giorno nella sua
cucina da stagista, a causa del lavoro, della pressione e dell'ambiente, volevo
andar via. Per cui la sera sono andato dal direttore Andrea Carrara poiché lo
chef non c'era, per dirgli che sarei andato via il giorno dopo: avevo capito
che quel lavoro non faceva per me (piangendo, tra l'altro). Dopodiché il
pomeriggio tornato in cucina per prendere le poche cose che avevo, l'avevo
trovata vuota. Dalla porta della sala arrivò Marchesi, che non avevo mai visto
prima. Ero alquanto spaventato, ma quando si è avvicinato mi ha messo un mano
sulla spalla dicendomi "benvenuto nella mia cucina", ecco quelle
parole sono state per me uno shock. Da quella frase per me è cambiato tutto, mi
è scattata la scintilla e non mi ha fermato più nessuno. Da quella semplice
frase ho intuito la fortuna che avevo di essere lì, ho capito cosa
rappresentasse, e cosa rappresenta Marchesi per la cucina italiana e per la
cucina di tutto il mondo».
Andrea
De Carli, chef di Rose Salò, da stagista a capopartita a L’Albereta
«Marchesi
mi ha colpito in primis come uomo principalmente perché, come diceva sempre,
prima di essere un grande chef bisogna essere una grande persona. Questo è
stato l'insegnamento basilare di Marchesi. Inoltre essendo stata la mia prima
casa lavorativa, è proprio lì che tutto è iniziato, è lì che è nata la mia
voglia di fare che non si è più fermata. La sua presenza in cucina non era mai
stancante, ma sempre stimolante, aveva sempre qualcosa da condividere e da
insegnare. Mai avrei potuto desiderare una persona più adatta per farci
scoprire questo mondo, per farcelo apprezzare e per farci capire a che livello
la ristorazione può arrivare e cosa può dare, gliene sarò eternamente grato».
Fabiano
Guatteri, giornalista, curatore di progetti editoriali per Gualtiero Marchesi
«Mi è immediato dividere la
storia della cucina italiana contemporanea più recente tra pre e post
marchesiana. “Pre” è una cucina approssimativa, senza credibilità
internazionale, spesso cialtrona. “Post” è la cucina attuale, reputata a
livello internazionale, di ricerca costante. Ho conosciuto Marchesi nel 1990 e
ne è nato un rapporto non solo di collaborazione editoriale ma anche di affetto
sincero, pur dandoci del lei. Ho avuto la coscienza di come il nostro incontro
avesse profondamente cambiato la mia visione culinaria (cucino per hobby) la
sera che venne a cena da me con Antonietta, l’amata moglie. Solo pochi anni
prima mi sarei cimentato realizzando preparazioni accompagnate da grandi salse
francesi, mentre quella sera, invece, “per sottrazione” composi un menu non
penso banale, ma basato sulla semplicità. Avevo fatto mio un suo insegnamento
basilare. Ciò mi porta a ritenere, più di allora, che un grande cuoco non abbia bisogno di molti ingredienti per
creare piatti a loro volta grandi».
Alberto
Capatti, primo rettore di ALMA, presidente Fondazione Marchesi
«Marchesi
mi ha colpito in primis come uomo principalmente perché, come diceva sempre,
prima di essere un grande chef bisogna essere una grande persona. Questo è
stato l'insegnamento basilare di Marchesi. Inoltre essendo stata la mia prima
casa lavorativa, è proprio lì che tutto è iniziato, è lì che è nata la mia
voglia di fare che non si è più fermata. La sua presenza in cucina non era mai
stancante, ma sempre stimolante, aveva sempre qualcosa da condividere e da
insegnare. Mai avrei potuto desiderare una persona più adatta per farci
scoprire questo mondo, per farcelo apprezzare e per farci capire a che livello
la ristorazione può arrivare e cosa può dare, gliene sarò eternamente grato».
Fabiano
Guatteri, giornalista, curatore di progetti editoriali per Gualtiero Marchesi
«Mi è immediato dividere la
storia della cucina italiana contemporanea più recente tra pre e post
marchesiana. “Pre” è una cucina approssimativa, senza credibilità
internazionale, spesso cialtrona. “Post” è la cucina attuale, reputata a
livello internazionale, di ricerca costante. Ho conosciuto Marchesi nel 1990 e
ne è nato un rapporto non solo di collaborazione editoriale ma anche di affetto
sincero, pur dandoci del lei. Ho avuto la coscienza di come il nostro incontro
avesse profondamente cambiato la mia visione culinaria (cucino per hobby) la
sera che venne a cena da me con Antonietta, l’amata moglie. Solo pochi anni
prima mi sarei cimentato realizzando preparazioni accompagnate da grandi salse
francesi, mentre quella sera, invece, “per sottrazione” composi un menu non
penso banale, ma basato sulla semplicità. Avevo fatto mio un suo insegnamento
basilare. Ciò mi porta a ritenere, più di allora, che un grande cuoco non abbia bisogno di molti ingredienti per
creare piatti a loro volta grandi».
Alberto
Capatti, primo rettore di ALMA, presidente Fondazione Marchesi
«Marchesi
mi ha colpito in primis come uomo principalmente perché, come diceva sempre,
prima di essere un grande chef bisogna essere una grande persona. Questo è
stato l'insegnamento basilare di Marchesi. Inoltre essendo stata la mia prima
casa lavorativa, è proprio lì che tutto è iniziato, è lì che è nata la mia
voglia di fare che non si è più fermata. La sua presenza in cucina non era mai
stancante, ma sempre stimolante, aveva sempre qualcosa da condividere e da
insegnare. Mai avrei potuto desiderare una persona più adatta per farci
scoprire questo mondo, per farcelo apprezzare e per farci capire a che livello
la ristorazione può arrivare e cosa può dare, gliene sarò eternamente grato».
Fabiano
Guatteri, giornalista, curatore di progetti editoriali per Gualtiero Marchesi
«Mi è immediato dividere la
storia della cucina italiana contemporanea più recente tra pre e post
marchesiana. “Pre” è una cucina approssimativa, senza credibilità
internazionale, spesso cialtrona. “Post” è la cucina attuale, reputata a
livello internazionale, di ricerca costante. Ho conosciuto Marchesi nel 1990 e
ne è nato un rapporto non solo di collaborazione editoriale ma anche di affetto
sincero, pur dandoci del lei. Ho avuto la coscienza di come il nostro incontro
avesse profondamente cambiato la mia visione culinaria (cucino per hobby) la
sera che venne a cena da me con Antonietta, l’amata moglie. Solo pochi anni
prima mi sarei cimentato realizzando preparazioni accompagnate da grandi salse
francesi, mentre quella sera, invece, “per sottrazione” composi un menu non
penso banale, ma basato sulla semplicità. Avevo fatto mio un suo insegnamento
basilare. Ciò mi porta a ritenere, più di allora, che un grande cuoco non abbia bisogno di molti ingredienti per
creare piatti a loro volta grandi».
Alberto
Capatti, primo rettore di ALMA, presidente Fondazione Marchesi
«L’eredità
di Gualtiero Marchesi è un metodo nascosto di operare e poi di vedere. Non ci
sono allievi consacrati. In questo, l’eredità del signor Marchesi è un’eredità
segreta».
Milano, 19 marzo 1930 – Milano, 26 dicembre 2017
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